40 anni fa muore Giorgio de Chirico: l’artista che con la metafisica ha raccontato l’uomo moderno
Il 20 novembre del 1978, a Roma, moriva Giorgio de Chirico. Al suo nome è legata la grande stagione della pittura metafisica: una nuova concezione dello spazio e del tempo, mitologia, sacre scritture, sogno e realtà si mescolano per dar vita ad ambientazioni irreali e “altre” che, però, parlano dell’uomo contemporaneo più di qualunque fedele realismo. De Chirico è stato un’artista complesso, ma ancora oggi le sue opere rappresentano il segno più caratteristico del Novecento italiano: a quarant'anni dalla sua scomparsa, eccone alcune.
Le Muse Inquietanti: uomo o manichino?
Una dicotomia insanabile ha sempre contraddistinto i soggetti delle pitture di de Chirico: quella fra l’uomo e la macchina, il cui simbolo più rappresentativo è senza dubbio il manichino. Presente in numerosissime tele degli anni Dieci e Venti, come ne “Le muse inquietanti” del 1917, è lo stesso de Chirico a darne una descrizione precisa e dettagliata:
Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l'aspetto dell'uomo, ma senza il lato movimento e vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ci respinge e ce lo rende odioso. Il suo aspetto umano e nello stesso tempo mostruoso, ci fa paura e ci irrita. Quando un uomo sensibile guarda un manichino egli dovrebbe essere preso dal desiderio frenetico di compiere grandi azioni, di provare agli altri ed a se stesso di che cosa è capace e di dimostrare chiaramente ed una volta per sempre che il manichino è una calunnia dell'uomo e che noi, dopo tutto, non siamo una cosa tanto insignificante che un oggetto qualunque possa assomigliarci.
La metafisica e tema del viaggio: Il figliol prodigo
Nuova concezione dello spazio, figure immobili e senza volto né età, e soprattutto un misto di mitologia e antiche scritture: tutto questo è riunito in un’opera che rappresenta molto bene la concezione stessa dell’arte di de Chirico. La tela in questione è quella de “Il figliol prodigo”, realizzata nel 1922 e oggi conservata a Milano, nel Museo del Novecento.
Filosofia e sentimento si mischiano nell'abbraccio fra i due soggetti protagonisti, l’uno un manichino l’altro una statua di gesso: un abbraccio che vuol dire anche il ritorno da un viaggio, altro tema molto caro a de Chirico perché legato alla sua esperienza personale. Passato, presente e futuro si fondono in quest’opera, senz'altro una delle più intime ma allo stesso tempo rappresentative dell’artista.
L’amore metafisico: Ettore e Andromaca
L’amore ebbe un ruolo centrale nella poetica visiva di de Chirico: sia l’amore personale, intimo, che per molti anni lo legò ad Antonia Bolognini, alla quale dedicherà l'Alcesti, sia quello metafisico, che trascende il tempo e lo spazio per divenire eterno come quello rappresentato da Ettore e Andromaca, una delle opere più famose ed emozionanti in questo senso. La statua, in bronzo, è oggi conservata a Cosenza. Rappresenta il momento dell’ultimo abbraccio fra il guerriero troiano e la sua sposa: la donna stringe a sé l’uomo, consapevole che non lo vedrà più ma speranzosa che il suo tocco amoroso convinca Ettore a non andare incontro a morte certa.
Molto più oscuro e difficile è il significato racchiuso dietro un altro dei capolavori di de Chirico: Canto d’amore, realizzato nel 1914 ed esposto al Museum of Modern Art di New York. La tela, oltre ad essere l’esempio più alto della pittura metafisica dell’artista, suggella in modo definitivo il rapporto con la poesia del francese Apollinaire. È infatti da una sua opera dal titolo omonimo che de Chirico si ispira per comporre il quadro: l’ambientazione richiama una tipica piazza italiana, mentre la grande testa in gesso di Apollo lega l’opera alle origini greche di de Chirico e alla sua profonda passione per la classicità. Ma è il rosso del guanto inchiodato al muro a rendere l’idea perfetta dell’amore metafisico: eterno, come può esserlo solo un oggetto privato del suo uso quotidiano, che diviene eccezionale e quindi, universale.
Giorgio de Chirico scrittore: L’Hebdomeros
Giorgio de Chirico è stato un grande pittore. Pochi sanno però che una delle sue passioni più grandi è stata la scrittura: oltre a numerosissimi saggi e a brevi autobiografie, de Chirico scrisse anche un vero e proprio romanzo dal titolo “L'Hebdomeros”. Gladiatori, centauri, mitologia e sogno si confondono in un racconto in realtà privo di una vera e propria trama: una sorta di corrispettivo letterario della sua pittura, pubblicato nel 1929, quando cioè la sua metafisica pittorica si incontrava con il Surrealismo dando vita a opere come “Gladiatori in riva al mare” o “Il ritorno del figliol prodigo”.