200 anni fa nasceva Walt Whitman: in “Foglie d’erba”, tutta l’anima del mondo
Il 31 maggio 1819 nasceva, in una piccola cittadina di Long Island, Walt Whitman: il “primo vero poeta americano”. La sua opera più famosa, “Foglie d’erba”, ha cambiato per sempre il volto della letteratura d’oltreoceano: trascendendo se stessa, con Whitman la parola si è trasformata in un oracolo bifronte, capace di unire individuo e società in un connubio mistico che è vita, esistenza, poesia stessa. In duecento anni, quelli trascorsi dalla sua nascita, molti grandi poeti e narratori sono partiti da qui: da Walt Whitman, e dalle sue poesie, “le poesie dell'intimità notturna, di uomini come me, (…) che tutti gli uomini portano con sé”.
“Io celebro me stesso, io canto me stesso, e ciò che io suppongo devi anche tu supporlo perché ogni atomo che mi appartiene è come appartenesse anche a te”: inizia così “Song of Myself”, uno dei poemi più emblematici della raccolta “Foglie d’Erba”, quasi un manifesto programmatico di tutte le opere a venire. Non è un caso, infatti, che nelle innumerevoli revisioni ed edizioni della sua opera principale (che Whitman riscrisse, aggiungendo sempre nuovi versi, fino agli ultimi anni di vita) questa poesia sia rimasta sostanzialmente invariata fin dalla prima apparizione della raccolta.
Le voci proibite parlano, attraverso Whitman
Cantando se stesso, le sue sensazioni, i suoi amori e le sue divinità, Whitman ha sempre in qualche modo parlato degli altri uomini: “In ogni persona ritrovo me stesso, non uno che mi superi, non uno che valga un chicco d'orzo di meno, e il bene e il male che dico di me lo dico pure di loro”, arrivando così a parlare della società, del proprio tempo, e dell’umanità tutta senza tempo. E fu soprattutto attraverso gli ultimi che Walt Whitman riuscì ad esprimere appieno il suo stile vagabondo, che ha attraversato tutte le geografie umane.
Per mezzo mio le molte voci a lungo silenti, voci dell'interminabile generazione di prigionieri e di schiavi, voci degli ammalati, dei disperati, dei ladri, dei contraffatti aborti, voci dei cicli di preparazione e accrescimento, e dei fili che legano le stelle, degli uteri e della linfa paterna, e dei diritti di quelli che altri calpestano sotto i piedi, dei deformi, degli uomini volgari, idioti, sciocchi, disprezzati, nebbia nell'aria, scarabei che rotolano la loro pallottolina di sterco. Per mezzo mio le voci proibite, voci di sesso e lussurie, voci velate cui io rimuovo il velo, voci indecenti, da me schiarite e trasfigurate.
Foglie d’erba: l’anima del mondo
Ogni cosa, nella poesia di Walt Whitman, si trasfigura e diventa solenne: i corpi, e l’anima, l’amore e il sesso, Dio e l’ultimo degli uomini, la natura, e perfino le foglie d’erba. E proprio su di loro, su quelle "Leaves of Grass", Whitman trascorrerà gran parte della sua vita: dal 1855 fino all'anno della morte, nel 1892, il poeta lavorò incessantemente per ampliare, modificare, approfondire l’opera che, più che una raccolta, è un’enciclopedia di un’anima irrequieta.
Che cos'è l'erba?
Mi chiese un bambino portandomene a piene mani;
come potevo rispondergli?
Non so meglio di lui che cosa sia.
Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione,
fatto col verde tessuto della speranza (…).