200 anni fa nasceva Gustav Courbet: il pittore che scandalizzò Parigi dipingendo la realtà
“Non possono esserci scuole, ci sono solo pittori”: con questa unica e ferma convinzione Gustav Courbet rivoluzionò per sempre l’idea che, ancora a metà Ottocento, si aveva dell’arte. Non più soggetti mitologici o biblici, né allegorie e simbolismi: solo la cruda realtà, concreta e tangibile. L’artista, nato ad Ornans il 10 giugno 1819, aveva avuto come maestri ideali Caravaggio, Rubens, Géricault e Delacroix, e da questi era partito per riformulare la funzione dell’arte per la società: duecento anni dopo la sua nascita, le sue opere sono ancora fortemente emblematiche.
La pittura è un'arte essenzialmente concreta e può consistere solo nella rappresentazione delle cose reali ed esistenti. Un oggetto astratto, non visibile, non rientra nel dominio della pittura. L'immaginazione nell'arte consiste nel saper trovare l'espressione più completa di una cosa esistente, ma mai nel supporre o creare questa stessa cosa. Il bello è nella natura, e si incontra nella realtà sotto le forme più diverse. Non appena lo si trova, esso appartiene all'arte o piuttosto all'artista che sa vedervelo.
Niente più ninfe e satiri, né divinità antropomorfe, a raccontare l’uomo: solo l’uomo stesso. O le donne, nel caso di Courbet e della sua opera più celebre, “L’origine del mondo”. Questa particolarissima concezione estetica colse la Parigi del Salon del tutto impreparata: se da una parte i suoi dipinti, fin dai primi autoritratti, avevano suscitato interesse e stupore per quella rappresentazione senza filtri della realtà, dall'altra la cultura ufficiale non poteva accettare nelle sue gallerie un’artista che mirava a mettere in discussione quel mondo di cui essa si faceva portavoce.
L’origine del mondo, l’opera più scandalosa di Courbet
A partire dal 1848 fino alla fine della sua vita, Gustav Courbet ebbe un rapporto molto particolare con la cultura “ufficiale”: molti suoi dipinti riuscirono ad entrare nelle grandi esposizioni del Salon, anche se non senza aspre critiche, mentre molti altri rimasero volutamente e provocatoriamente fuori di esso. Mentre Courbet dipingeva “Fanciulle sulle rive della Senna”, esposta al Salone ma fortemente osteggiata dalla cultura ufficiale per la sua esplicita caratterizzazione anti-borghese, contemporaneamente lavorava ad un’altra opera che rivoluzionerà per sempre la pittura francese, e non solo: “L’origine del mondo”.
L’olio su tela, oggi conservato presso il Museo d’Orsay di Parigi, possiede una carica di realismo sconvolgente, scegliendo come soggetto una vulva, e nient’altro. L’origine del mondo, banalmente, è questa: l’eros e il corpo femminile vengono elevati a protagonisti assoluti dell’arte che, a sua volta, ha il compito di rappresentare la vita.
Per molto tempo si è dibattuto circa l’identità della modella: alcune ipotesi fecero propendere per l’identificazione con Joanna Hiffernan, moglie del pittore americano James Whistler, ma recentemente questa supposizione è stata scalzata da quella, confermata da alcune lettere scritte da Alexandre Dumas figlio, che si tratti di Constance Quéniaux, ballerina dell’Opera e amante dello stesso committente dell’opera, il diplomatico ottomano Halil Şerif Pasha.
Gli Spaccapietre: la denuncia sociale di Courbet
Nel 1849 Courbet dipinge una vera e propria opera di denuncia sociale, che non poté passare sotto silenzio nonostante il duro rifiuto del mondo dell’arte “ufficiale”: si tratta de “Gli spaccapietre”, un grande olio su tela realizzato nel 1849, esattamente un anno dopo la pubblicazione del “Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels. La tela è andata perduta: durante la Seconda guerra mondiale si trovava alla Gemaldegallerie di Dresda, ma venne completamente distrutta dai bombardamenti.
Per la prima volta, nel mondo dell’arte, le raffigurazioni storiche e religiose lasciavano posto agli ultimi: due comunissimi spaccapietre, immortalati in tutta la loro miseria. Il realismo di Courbet raggiunge una crudezza mai vista prima, che i critici contemporanei scambieranno per “volgarità”, ma che ritornerà in molte altre opere. “Il bello, come la verità, è una cosa relativa al tempo in cui si vive ed all'individuo atto a concepirlo”: il pittore sceglie dunque di guardare alle calze bucate e alle scarpe consumate dei due uomini per raccontare il proprio tempo, fatto di precarietà e sfruttamento dei più poveri.