30 anni fa il pestaggio di Rodney King che scatenò la rivolta del primo Black Lives Matter
La notte del 3 marzo del 1991 Rodney King, un tassista afroamericano che stava trasportando due passeggeri sulla Foothill Freeway di Los Angeles, forzò un posto di blocco della polizia, ignorando l'ordine di fermarsi. Era stato segnalato per eccesso di velocità ma, per paura di perdere la sua licenza, anziché fermarsi decise di darsi alla fuga, dando vita ad un inseguimento ad alta velocità con a bordo i due passeggeri, attraverso autostrade e quartieri residenziali della città, che si concluse dopo 13 chilometri.
Quando King si fermò, scese per ultimo dal mezzo, dopo i due passeggeri che per tutto il tempo erano rimasti a bordo. Nessuno di loro era armato e il tassista si consegnò agli agenti ridendo e salutando ironicamente l'elicottero che stazionava sopra di loro. Dopo di che i cinque agenti della polizia di Los Angeles (Stacey Koon, Laurence Powell, Timothy Wind, Theodore Briseno e Rolando Solano) circondarono King, lo colpirono due volte con un taser e, una volta a terrra, lo accerchiarono e lo massacrarono con i manganelli con una violenza inaudita e immotivata.
L'episodio del pestaggio, ripreso da un videoamatore di nome George Holliday, fu trasmesso dai maggiori network televisivi statunitensi e mondiali e fece tornare alla ribalta il problema del razzismo negli Stati Uniti d'America. Nel 1992, l’assoluzione dei 4 agenti protagonisti del massacro, scatenò violentissime rivolte in tutta la città e il paese, causando 61 vittime e moltissimi feriti.
29 anni dopo, il 25 maggio del 2020, George Floyd (qui gli accadimenti nel dettaglio), veniva ucciso da un agente della polizia di Minneapolis in circostanze terribilmente simili: indifeso e innocente veniva soffocato a morte dall’agente che lo teneva fermo a terra con il suo ginocchio premuto sul collo, nonostante il povero George continuasse a chiedere aiuto e dire ripetutamente che non riusciva a respirare “I can’t breathe”. Lo disse 25 volte prima di smettere di parlare, perdere i sensi e morire. Il poliziotto continuò ad appoggiare tutto il peso del suo corpo sul collo di Floyd anche dopo che era svenuto, probabilmente anche dopo che era morto e fino all’arrivo dei paramedici che lo obbligarono a spostarsi. Tutto questo davanti allo sguardo inerme dei suoi colleghi e della gente intorno che urlava di lasciarlo, di smetterla e che continuava a riprendere: i video trasmessi in diretta su vari social, verranno poi ripresi dai social e network televisivi di tutto il mondo in pochissimi minuti, facendo tornare alla ribalta, per l’ennesima volta, il problema del razzismo negli Stati Uniti d'America
30 anni dopo il terribile massacro di Rodney King una nuova ondate di rivolte e proteste contro il razzismo, scuote tutto il mondo e non solo gli Stati Uniti come era accaduto nel 1992. Trenta anni dopo è la stessa rabbia, la stessa violenza, lo stesso razzismo e poco è davvero cambiato riguardo la condizione delle cosiddette minoranze. Ma perché? Forse perché i sovranismi, polulismi e nazionalismi cavalcati da Trump in questi ultimi anni e da tutti i suoi epigoni sparsi nel mondo, hanno buttato ancora di più acqua sul fuoco, nutrendo un incendio che oramai divampa da decenni anche se possa sembrare contenuto o contenibile.
Certo la situazione non è più la stessa di 30 anni fa, il mondo ha avuto un Presidente afroamericano, ora è in carica la prima Vice Presidente donna e afrodiscendente e anche i termini e le parole per definire quello che poi alla fine è soltanto un colore diverso della pelle, stanno cambiando e adattandosi ai tempi. La Disney, e non solo, avverte lo spettatore o spettatrice prima della visione che alcuni dei suoi film più noti e amati (Peter Pan ad esempio o Via col Vento) sono figli del tempo: "Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi. Invece di rimuovere questo contenuto, vogliamo ammetterne l'impatto dannoso, trarne insegnamento e stimolare il dialogo per creare insieme un futuro più inclusivo. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo riconoscerlo, imparare e andare avanti insieme per creare un domani che oggi possiamo solo sognare".
In un tempo in cui tutto è talmente veloce che il presente diventa un remoto passato nell’arco di pochi giorni, purtroppo dobbiamo ricordare che invece il cammino della storia dell’umanità è molto, molto lento, anche se perseverante e inarrestabile da migliaia di anni. E se pensiamo che soltanto poco più di 60 anni fa Rosa Parks non poteva sedersi in un qualsiasi autobus perché “negra”, allora forse si può sperare che le cose cambino sempre più, che un altro mondo sia ancora possibile, che il razzismo divenga un vago ricordo, “che non si parli più di dittature, se avremo ancora un po’ da vivere. Ma la primavera intanto tarda ad arrivare”.
Yes we can, diceva Obama ma George Floyd continuava ad agonizzare dicendo “I can’t breathe”. Di certo molte cose stanno cambiando ma a patire poi sono sempre gli ultimi e le ultime, la povera gente, quindi seppur la strada sia ancora lunga e tortuosa, non dovremmo dimenticare che la storia siamo noi e spetta a noi cambiarla giorno dopo giorno, parola dopo parola, pregiudizio dopo pregiudizio. Perché anche una parola, uno sguardo, una frase sbagliata, un insulto possono uccidere un pezzo alla volta e anche le vite degli altri contano, anche le vite dei neri, black lives matter.
Well Martin's dream
Has become Rodney's worst nightmare
Can't walk the streets
Our lives don't mean a thingE così il sogno di Martin
È diventato il peggior incubo di Rodney
Non possiamo camminare per strada
Le nostre vite non significano nienteSo if you catch yourself
Thinking it has changed for the best
You better second guess
Cause Martin's dream
Has become Rodney's worst
NightmareLike a king
Rodney KingPerciò se ti convinci da solo
che tutto sia cambiato in meglio
Faresti meglio a ripensarci
Perché il sogno di Martin
È diventato il peggio incubo
di RodneyCome un re
Rodney King