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13 luglio 1976: l’ascesa di Craxi e la rivoluzione dei quarantenni nel Psi

Un gruppo di giovani dirigenti socialisti all’hotel Midas di Roma defenestra la vecchia nomenclatura guidata da Francesco De Martino. Quella che sembra una congiura interna ben presto si configurerà come una svolta in grado di modificare la struttura genetica del Psi e la storia della Repubblica.
A cura di Marcello Ravveduto
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Foto archivio Cioni-Spinelli/LaPressearchivio storicoStoricoanni '80Benedetto CraxiBenedetto Craxi, detto Bettino (Milano, 24 febbraio 1934 – Hammamet, 19 gennaio 2000), è stato un politico italiano, Presidente del Consiglio dei Ministri dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987.nella foto: Benedetto CraxiPhoto archives Cioni-Spinelli/LaPresseHystory80'sBenedetto Craxiin the photo: Benedetto Craxi
Foto archivio Cioni-Spinelli/LaPressearchivio storicoStoricoanni '80Benedetto CraxiBenedetto Craxi, detto Bettino (Milano, 24 febbraio 1934 – Hammamet, 19 gennaio 2000), è stato un politico italiano, Presidente del Consiglio dei Ministri dal 4 agosto 1983 al 17 aprile 1987.nella foto: Benedetto CraxiPhoto archives Cioni-Spinelli/LaPresseHystory80'sBenedetto Craxiin the photo: Benedetto Craxi

Il 13 luglio 1976 un gruppo di giovani dirigenti socialisti all’hotel Midas di Roma defenestra il vecchio gruppo dirigente del Psi guidato da Francesco De Martino. Quella che sembra la congiura interna dei cosiddetti quarantenni, destinata secondo i più ad essere riassorbita nei mesi successivi, si configura, invece, come una svolta in grado di modificare la struttura genetica del Partito socialista e la storia della Repubblica italiana.

Benedetto Craxi, detto Bettino, diventerà segretario il 15 luglio 1976. Lo scelgono perché appartiene alla debole corrente autonomista e, dunque, facilmente controllabile. Insomma sembra rappresentare quella che si chiama “soluzione di transizione”, in attesa di consolidare nuovi equilibri da cui far emergere un segretario maggioritario.

La “soluzione transitoria” muta ben presto in “presa del potere definitiva”. Craxi riesce a saltare gli ostacoli lavorando allo svecchiamento del Psi e rilanciandolo nel panorama politico con una proposta programmatica aggressiva a tutto campo. Di fronte all’apparente ascesa inarrestabile del Pci e all’affermarsi del compromesso storico elabora, alleandosi con la sinistra interna guidata da Claudio Signorile e Gianni De Michelis, la strategia dell’alternativa socialista che, stante il grave ritardo nell'evoluzione democratica del Pci, può essere guidata solo dai socialisti.

Ha scritto Massimo Fini: «Di Craxi mi era sempre piaciuto il tenace sforzo per togliere al Psi il notorio complesso di inferiorità nei confronti del Partito comunista, il tentativo di gettare alle ortiche il massimalismo vieux style alla De Martino, l'allora coraggiosa e minoritaria scelta verso una socialdemocrazia di tipo europeo, pragmatica, efficiente, finalmente libera da anacronistici e pericolosi dogmi ottocenteschi. Nel '70, quando ero un giovane cronista dell'Avanti! e il Midas era ancora di là da venire, tifavo per un'alleanza, che allora sembrava blasfema, fra la destra e la sinistra del partito, fra gli “autonomisti” e i “lombardiani” sembrandomi che esprimessero le anime migliori del Psi: quella, antica, libertaria e quella, nuova, pragmatista. Volendolo potrei quindi definirmi un craxiano ante litteram».

La riflessione di Fini riguarda evidentemente il revisionismo ideologico del partito che apre la strada alla rivalutazione del pensiero socialista libertario. Con la pubblicazione del saggio «Il Vangelo socialista», apparso su L'Espresso del 27 agosto 1978, Craxi critica la dottrina marxista e riconsegna valore alla figura e al pensiero di Proudhon, condannando senza appello il leninismo:

«La profonda diversità dei “socialismi” apparve con maggiore chiarezza quando i bolscevichi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono due concezioni opposte. Infatti c'era chi aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l'azione dominante dello Stato e c'era chi auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali […] La meta finale è la società senza Stato, ma per giungervi occorre statizzare ogni cosa. Questo è, in sintesi, il grande paradosso del leninismo. Ma come è mai possibile estrarre la libertà totale dal potere totale? Invece […] Si è reso onnipotente lo Stato […] Il socialismo non coincide con lo stalinismo […] è il superamento storico del pluralismo liberale, non già il suo annientamento».

La presa di posizione pone il Psi nel campo dell’anticomunismo, dando luogo a una lotta serrata contro il Pci di Berlinguer allo scopo di insediarsi nell’area d’interdizione tra i due principali partiti dell’Arco costituzionale (memorabile in tal senso è la scelta di schierare il partito socialista, durante i giorni del rapimento Moro, verso la “soluzione umanitaria” contro il “partito della fermezza”, rappresentato da Dc e Pci). Il primo risultato concreto è l’elezione alla Presidenza della Repubblica di Sandro Pertini; il secondo è sicuramente è la sua nomina a Presidente del Consiglio.

Craxi è il vincitore delle elezioni del 1983. Riesce, con la sua attenzione alla società civile e alla nuova borghesia terziaria (protagoniste del secondo miracolo economico), finalmente a smobilitare il Psi dalla dannazione del 9% guadagnando 2 punti percentuali.

Con l’arrivo a Palazzo Chigi muta strategia. Si mette in sordina l’alternativa socialista e si pone mano ad un governo (il pentapartito) che si regge su una specifica base sociale in grado di garantire un’ulteriore espansione al progetto craxiano: il made in Italy, l’advertising e le tv commerciali. Sara lui il primo a parlare di “azienda Italia”. Affinché questo mondo sia rappresentato nel Psi, crea la Assemblea Nazionale, un organismo composto da alcune centinaia di personaggi, anche dello spettacolo, subito definiti dai suoi critici come "nani e ballerine".

La terza forza, a questo punto, non è più un polo laico-socialista pendolare ma un aggregato politico in grado di rivaleggiare, con i esigui suoi numeri, con la Democrazia Cristiana a cui il Psi contende, metro per metro, nomine e poltrone. Nei consigli di amministrazione dell'Iri, per esempio, si decide di introdurre accanto al presidente la figura dell'amministratore delegato. Se il presidente è Dc, l'amministratore sarà socialista, e viceversa. Così Craxi, nell’immaginario satirico, da “interdittore politico” diventa “estortore governativo”, guadagnandosi l’appellativo di Ghino di Tacco (il brigante gentiluomo di Siena che lasciava ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Boccaccio nel Decameron lo dipinge come tale riferendosi al sequestro dell'abate di Cluny).

In quegli anni, il già citato Massimo Fini, scriverà: «lo sono d'accordo con Craxi quando governa, ma mi indigna il modo in cui sottogoverna, In pochi anni il Psi è diventato uno dei più assatanati lottizzatori facendo impallidire la Democrazia cristiana. Nel Partito socialista c'è oggi – sono le statistiche a dircelo oltre che le quotidiane iniziative della magistratura – l più alto concentrato di trafficoni, di lestofanti, di ladri. Nella migliore delle ipotesi il Psi si è allineato ai livelli di corruzione della Democrazia cristiana. Ma mentre quest'ultima ha almeno l'aria di vergognarsene, il Psi sbandiera questa sua immoralità come se fosse consustanziale a un moderno modo di governare».

«In quanto a Craxi, è sempre stato un uomo dal carattere difficile, duro, aspro, cocciuto, figlio di una nascosta timidezza. Ma col successo il carattere difficile è diventato sospettosità generalizzata, la durezza si è mutata in arroganza, l'asprezza in disprezzo, la cocciutaggine nella pericolosa convinzione di avere sempre ragione. Ho l'impressione che questa involuzione di Craxi dipenda dal fatto che nel suo partito non c'è ormai più nessuno, a parte forse De Michelis, che abbia il coraggio di digli qualche «no», è sparita ogni forma di contraddittorio (tanto è vero che sono diventati tutti «craxiani» e adesso devono fare sforzi disperati per distinguere quelli doc da quelli fasulli). In questo modo Craxi s'è isolato. E breve è il passo dall'isolamento alla perdita del senso della realtà, cosa assai pericolosa per un politico come dimostrano anche precedenti illustri di gente che aveva «le palle quadrate» anche più di Craxi».

Certo non vanno dimenticati i risultati del suo governo: il nuovo Concordato con la Santa Sede, il taglio di tre punti della Scala mobile, la riduzione dell’inflazione (nel periodo 1983-1987) dal 12,30% al 5,20%, la crescita dei salari (in quattro anni) di quasi due punti, il raggiungimento della quinta posizione tra i paesi più industrializzati del mondo, la lotta all’evasione fiscale nel commercio al dettaglio. Allo stesso tempo non bisogna trascurare che sono varati il decreto Berlusconi, il condono edilizio e che il debito pubblico ascende da 268 a 604 miliardi di euro (dati rivalutati al 2016), mentre il rapporto tra debito pubblico e PIL passa dal 70% al 90%.

Una volta al governo anche la proposta di Grande riforma cede il passo alla retorica della “governabilità”: si annuncia costantemente la riforma del governo parlamentare promettendo, senza mai procedere concretamente, la fine della frammentazione del sistema politico in modo da concentrare il potere esecutivo nelle mani di un mandato popolare diretto.

Oggi, a quarant’anni di distanza, se pensiamo a Craxi la mente corre a Tangentopoli, al “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio, al discorso tenuto alla Camera in difesa della partitocrazia, alla deposizione al Tribunale di Milano con un Di Pietro incalzante, al lancio delle monetine davanti all’Hotel San Raphael, all’esilio di Hammamet. Una galleria di immagini che è stata fissata nella memoria come le foto di guerra conservate dai nostri nonni per non dimenticare gli anni difficili della transizione dal fascismo alla democrazia.

Così l’immagine di Craxi, consacrata dall’immaginario collettivo nel ruolo di corruttore dalla fiction Sky “1992”, rimanda alla crisi della prima Repubblica. Il personaggio politico, proprio in virtù della sua statura, incarna in toto la stagione di Tangentopoli, ovvero la storia segreta della politica italiana che tutti immaginavano, ma nessuno osava evocare: non tanto l’intreccio tra politica ed economia – quasi un assunto identitario della partitocrazia divenuta Stato – quanto la corruzione come parte integrante del contesto istituzionale.

In realtà, il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica si consuma nel quinquennio 1989-1994. In questo arco temporale, il ’92 può essere considerato il vertice di una parabola. L’acme di una metamorfosi determinata da molteplici fattori, i cosiddetti «volti della crisi». Una crisi che incrina, fino alla spaccatura, il sistema di regole su cui si è retto il potere dei partiti. Un’implosione determinata dalla pressione di avvenimenti esterni (la fine del comunismo, il neoliberismo, la globalizzazione) e interni (il debito pubblico, la corruzione, le mafie, le mancate riforme, il collasso demografico) di cui non si è ancora in grado di calcolare la portata storica.

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