Si intitola "I passeggeri della terra. 12.000 km senza un soldo in tasca" (Alpine Studio, pp 209, euro 16,00) il libro-reportage di Nicola Zolin che, dopo aver viaggiato in lungo e il largo per il mondo in compagnia dei suoi compagni di avventure, Raphael e Benjamin, è tornato a casa e ha messo su carta il racconto di quest'incredibile esperienza compiuta zaino in spalla, in maniera del tutto ecologica e senza soldi.
Il resoconto del viaggio inizia nel cuore dell'Europa, a L'Aja, in Olanda, dove i tre amici conducevano una vita da studenti universitari. Un po' di noia e di insoddisfazione verso un percorso già scritto da studente e poi da lavoratore pronto ad essere risucchiato dal sistema, ed ecco che i passeggeri della terra decidono di mettersi in moto, quasi per gioco, lanciandosi nella scommessa di arrivare verso il Sud del mondo in autostop.
Un viaggio senza denaro, equipaggiati di tecnologie fotovoltaiche e nutrendosi degli sprechi di cibo di supermercati e ristoranti, tra mille avventure e incontri. L’ospitalità ricevuta in Marocco è una carica di umanità e fiducia, per esempio, mentre a Fuerteventura la loro missione ecologista comincia a incuriosire radio, tv e giornali locali e nazionali.
Alla fine ci sono riusciti, tra interminabili attese e viaggi senza meta, rinunciando a ogni pretesa da viaggio organizzato, semplicemente andando incontro all'umano che ancora, per fortuna, abita gran parte del mondo, nonostante tutto quanto leggiamo sui media e nelle pagine di cronaca. In occasione della pubblicazione di questo volume, abbiamo raggiunto Nicola Zolin al telefono per farci raccontare qualcosa della sua esperienza.
Chi è Nicola Zolin?
Ho 32 anni e sono un fotogiornalista freelance. L'ultimo anno l'ho vissuto in Grecia sulle orme dei rifugiati ai confini dell'Europa. Ho scoperto che la fotografia è la mia vera passione soltanto dopo aver compiuto il viaggio che ho raccontato ne "I passeggeri della terra".
Come è nata l'idea di questo viaggio?
Mi trovavo a L'Aja, in Olanda, dove studiavo Scienze della Comunicazione. Lì quasi per gioco è nata l'idea con Raphael e Benjamin, i miei due amici: viaggiare per il mondo liberi e nel modo più ecologico possibile. E così siamo partiti in autostop verso il Sud del mondo.
Perché hai deciso di raccontare quest'esperienza in un libro?
Il racconto è stato concepito come una risposta generazionale alla crisi, portare alla conoscenza di più persone possibili un'altra visione del mondo. Per me questo libro è un modo come un altro per restituire pubblicamente ai miei coetanei una visione alternativa alla crisi costante in cui sembra trovarsi la nostra generazione, quell'eterno limbo in cui non sembrano esserci possibilità.
E invece ci sono?
La situazione è complicata, ma è anche vero che esistono tante altre strade possibili, più creative, di quelle tra cui normalmente ci dibattiamo. Questo volume vuole mostrare tali possibilità, o almeno una di queste possibilità, un modo di agire che punta a decostruire le idee del mondo che abbiamo e di noi stessi.
Possiamo dire, quindi, che "I passeggeri della terra" è un racconto politico.
Lo è. È il racconto di un modo di far politica figlia del proprio tempo. Ideologica senza ideologia, che nasce non da un'idea preconcetta della realtà, ma dall'esigenza di comprendere il mondo adesso, di conoscerlo a fondo. Noi europei, per esempio, consideriamo ancora il vecchio continente come il centro del mondo.
Se dovessi scegliere una delle tue esperienze di viaggio, al di là di quelle raccontate nel volume, quale ti ha colpito di più?
Vivere 5 mesi in Cina è stata un'esperienza incredibile e suo modo memorabile. Sono stato per lavoro in diverse zone di confine, dal Tibet a Hong Kong. Questa esperienza mi ha fatto capire che l'elettricità del mondo è altrove, laddove c'è quest'euforia della crescita che porta con sé tante contraddizioni ma anche tante possibilità.
Eppure gli esperti ci dicono che c'è la crisi anche in Cina…
Parlare di crisi in Cina, secondo i nostri parametri, è un ossimoro. C'è un rallentamento, è vero, ma ciò non intacca quel senso di euforia di cui ti parlavo. D'altro canto, questo percorso comporta dei rischi. La Cina, dal mio punto di vista, è il luogo del mondo che ho conosciuto in cui c'è la minore consapevolezza delle proprie radici. C'è un vero e proprio shock culturale e antropologico in atto, il perseguimento del benessere sta facendo perdere alcuni aspetti di una cultura tradizionale millenaria…
Dopo aver viaggiato per 12.000 chilometri, dove si trovano adesso i tuoi compagni di viaggio?
Raphael si è trasferito nel Sud della Germani, vive in un'abitazione condivisa, è sposato con figli e si occupa di un progetto di food sharing. Mentre Benjamin adesso vive in un villaggio della Loira, che poi era il nostro obiettivo durante il viaggio. Solo che alla fine le cose sono andate diversamente.
Ne sei pentito?
No. La vita è così: non sai mai quello che ti accade, finché non ti accade.