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100 anni di Charlot: Chaplin in libreria con “Footlights”

Per celebrare il centesimo anniversario del debutto di Charlot, il celebre vagabondo interpretato da Charlie Chaplin, esce in sala una versione restaurata di “La febbre dell’oro” e un inedito romanzo “Footlights” da cui il genio londinese trasse “Luci della ribalta”.
A cura di Andrea Esposito
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Charlot compie un secolo. Era il 7 febbraio 1914 quando Charlie Chaplin portò per la prima volta sullo schermo il celeberrimo personaggio del vagabondo con bombetta, baffi e bastone (conosciuto come “The Tramp” in inglese; “Charlot” in italiano, francese e spagnolo) nel cortometraggio “Kid auto races at Venice”, diretto da Henry Lehrman.

A cento anni di distanza, per celebrare degnamente una delle personalità più influenti della settima arte, torna sul grande schermo “La febbre dell’oro” (1925), distribuito dalla Cineteca di Bologna e appena restaurato dal “Laboratorio l’immagine ritrovata”, che da tredici anni lavora al recupero e alla digitalizzazione dell’intera opera chapliniana. E infatti il film verrà proiettato con il ritmo e la velocità originali e soprattutto con le musiche per orchestra scritte dallo stesso Chaplin.

Ma la grande notizia riguarda la pubblicazione di un inedito rimasto sepolto negli archivi della famiglia Chaplin per oltre sessant’anni: “Footlights”, l’unico romanzo scritto dal genio londinese da cui peraltro fu tratto “Luci della ribalta” (1952), caso unico nella sua filmografia in cui una pellicola è ispirata a un testo letterario. Dopo un lungo lavoro di ricostruzione, realizzato dalla Cineteca con l’aiuto di David Robinson, biografo ufficiale di Chaplin, il testo, ritrovato in archivio in molte differenti stesure, vede oggi la luce restituendoci un autentico testamento artistico.

La storia infatti, a metà tra finzione e autobiografia, racconta le traversie di un vecchio clown, Calvero, un tempo famoso e acclamato ma ormai dipendente dall’alcol, il quale per caso si trova di fronte una giovane ballerina (interpretata nel film da Claire Bloom) che ha appena tentato di suicidarsi. Dopo averla salvata, il clown viene a conoscenza della triste storia della ragazza che, essendo rimasta orfana da bambina, è spinta dalla sorella a prostituirsi. Ma grazie ai consigli e all’incoraggiamento di Calvero, la giovane ballerina prende coscienza delle sue possibilità, rifiuta il triste destino di prostituta e torna con successo sulle scene.

Grazie a quest’incontro lo stesso Calvero riacquista sicurezza in se stesso e tenta, con scarsi risultati, di riallacciare quel rapporto con il pubblico ormai interrotto da tempo, cosa che peraltro rievoca la vicenda di Chaplin, il quale dopo l’insuccesso di “Monsieur Verdaux” (1947) temeva di essere stato ormai dimenticato. Alla fine, dopo che la ragazza ottiene il tanto sperato riconoscimento, chiama Calvero a esibirsi nel suo show durante una serata di beneficenza. Calvero accetta e la sera dello spettacolo si presenta sul palco insieme alla sua vecchia spalla: il risultato è un trionfo tanto che lo sketch si conclude con Calvero che si getta sull’orchestra. Il pubblico, pensando a una finzione applaude calorosamente, ma in realtà il povero clown ha avuto un attacco di cuore. Portato dietro le quinte, muore mentre la ragazza sta ballando sul palcoscenico.

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L’aspetto straordinario di questa esibizione è che nel film la “spalla” di Calvero è nientemeno che Buster Keaton, il grande rivale di Chaplin ai tempi del muto, che essendo stato surclassato dal cinema sonoro, appare come testimone autentico di un’arte ormai scomparsa, regalandoci uno struggente duetto con Chaplin. Un intreccio indissolubile tra biografia, storia del cinema e finzione che rappresenta, come si diceva in precedenza, il testamento artistico del grande maestro londinese.

Insomma, non resta che rivedere al cinema in edizione restaurata “La febbre dell’oro” e acquistare una copia di “Footlights”, arricchita da un saggio di David Robinsom, intitolato “The World of Limelight”

Ecco in anteprima un assaggio del libro: “Nelle prime ombre del crepuscolo mentre la luce dei lampioni di Londra si faceva più viva contro un cielo color zafferano, Thereza Ambrose, una ragazza di diciannove anni, stava scivolando fuori dalla vita; sprofondava nel buio di una stanza povera e angusta, in una delle strade secondarie di Soho. La luce che entrava dalla finestra dava rilievo al suo profilo pallido, mentre la ragazza giaceva supina sul letto, il corpo appena sbilanciato oltre il bordo di un vecchio letto di ferro. Una cascata di capelli scuri si spandeva sul cuscino, incorniciando la delicatezza di lineamenti ora calmi, tranne la bocca che si contraeva in un tremito. Nella stanza, le tracce solite della tragedia: un flacone vuoto di sonniferi, una valvola del gas aperta che emetteva un debole fischio. Faceva da contrappunto alla scena un organetto meccanico giù in strada, che intonava allegramente, a ritmo di valzer, una delle canzoni popolari dell’epoca”.

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