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Crisi Ue, la Germania si ammorbidisce?

I mercati restano cauti nonostante si scoragno i segnali di qualche timido passo in avanti nella soluzione della crisi europea. Potrebbe essere l’occasione per scommettere su un più robusto recupero.
A cura di Luca Spoldi
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Grecia, a Samaras l'incarico di formare il governo

Germania sotto assedio al G20, ma si capisce dalle reazioni stizzite provenienti da Berlino che Angela Merkel e il suo governo di cospargersi il capo di cenere abbracciando il “credo” della crescita a tutti i costi (ossia “a debito”) non hanno alcuna intenzione. Tanto che a più ripresa nel corso della giornata fanno filtrare per l’ennesima volta l’indisponibilità a dare il proprio via libera a Eurobond che “non sarebbero la soluzione ai problemi attuali”, omettendo peraltro di ricordare che la ricetta tedesca fatta di sola austerity, fortemente pro ciclica, può apparire suadente agli occhi dei “moralizzatori” delle altrui economie ma di fatto è essa stessa una parte del problema che tiene in scacco le economie dei periferici europei e rende nervosi i mercati.

Eppure nel corso della giornata un indice Zew (che misura le attese degli investitori in merito all’evoluzione del quadro economico) crollato in giugno a -16,9 punti dai 10,8 di maggio (consensus: 2,8 punti), segnando così il calo mensile più marcato dall’ottobre 1998, aveva portato molti operatori a commentare anche su Twitter come neppure l’economia tedesca viva più in un universo parallelo dove tutto va per il meglio e il rischio di un contagio da parte dei “maialini” del Sud Europa è remoto. Sicché senza eccessivo clamore è possibile che qualcosa inizi a muoversi dietro le quinte.

Ad esempio sempre oggi più volte alcune fonti a Bruxelles (ma poi anche il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker) hanno osservato come qualche modifica agli impegni che la Grecia ha finora concordato con la troika Ue-Bce-Fmi sembrano possibili, ad esempio un allungamento dei termini per il rimborso degli aiuti stessi. Purché, ha aggiunto “pro forma” lo stesso Juncker, non si tratti di modifiche sostanziali ma marginali. Insomma, si chiuderà un occhio o anche due a patto che il nuovo governo di Atene, che dovrebbe essere guidato da Antonis Samaras e formato da Nuova Democratia, Pasok e Sinistra Democratica, prometta (e possibilmente stavolta mantenga le promesse) che la sostenibilità del debito e le riforme strutturali restano i due obiettivi qualificanti dell’intero programma che non verranno messe in discussione.

Nel frattempo il mercato sembra avere ben altro per la testa e mentre ha accolto con favore sia pure senza particolare entusiasmo la notizia filtrata dal vertice del G20 di Los Cobos in Messico degli impegni finanziari ottenuti dall’Fmi per 456 miliardi di dollari di nuovi fondi (contro gli attesi 430 miliardi) da parte di 37 paesi tra cui la Cina, che si è impegnata a versare nelle casse dell’ente guidato da Christine Lagarde 43 miliardi di dollari, ha bacchettato duramente il tesoro di Madrid che oggi è tornato a emettere titoli a breve termine.

Nel dettaglio i Bonos a 12 mesi (collocati per 2,4 miliardi di euro) hanno visto il tasso lordo medio balzare al 5,07% (il massimo dal 2003) rispetto al 2,98% dell’asta precedente, nonostante una domanda pari a 2,16 volte l’offerta (1,84 volte nell’asta precedente), mentre i titoli a 18 mesi (di cui sono stati collocati 639 milioni) hanno registrato a loro volta un rialzo passando dal 3,30% al 5,10%, nonostante una buona domanda, pari a 4,42 volte l’offerta (era stata pari a 3,23 volte nell’asta precedente). Il tutto mentre il tasso sui decennali resta stabilmente sopra il 7% considerato da molti una sorta di “soglia di non ritorno” da cui in verità è riuscita a ritornare evitando di dover chiedere aiuti internazionali proprio l’Italia (che vide i propri titoli decennali superare tale livello di rendimento prima lo scorso novembre e poi a inizio anno).

Così mentre le autorità europee si preparano al vertice di fine mese da cui potrebbero emergere altri piccoli passi in avanti e mentre la Bce resta vigile, pronta a intervenire in caso di reale necessità ma per il momento ancora alla finestra così da mantenere elevata la pressione proprio sulle “riluttanti” autorità politiche (che ovunque trovano difficile riformare “sotto le bombe” e in qualche caso come in Italia danno l’impressione di voler sopravvivere a colpi di annunci più che di misure concrete), per chi ha capitali da investire potrebbe essere il caso di guardare a qualche Btp italiano come il Btpi settembre 2014 che rende attorno al 4,15% netto (5,60% lordo) o il Btpi settembre 2017 che invece rende attorno al 6,48% netto (7,25% lordo), entrambi essendo indicizzati all’inflazione e con quotazioni “sotto la pari” (ossia inferiori alla soglia di 100 a cui saranno rimborsati i titoli a scadenza).

In alternativa chi vuole “osare” di più può prendere il toro per le corna, letteralmente, e investire qualcosa nel Bonos scadenza luglio 2015, che rende attorno al 5,40% netto (5,9% lordo) con una cedola del 4% lordo annuo e una quotazione ampiamente sotto la pari (al momento attorno a 94,40) che potrebbe consentire anche di incamerare plusvalenze nel caso il mercato torni ad apprezzare i titoli spagnoli.  O ancora puntare qualche fiches sul titolo di stato portoghese scadenza ottobre 2015, che paga ben l’8,7% di rendimento netto (sfiorando il 9,2% lordo), con una cedola del 3,35% lordo annuo e quotazioni che oscillano tra 82,5 e 83,5 che renderebbe più che interessanti eventuali plusvalenze da trading, consentendo in caso positivo di disinvestire dal titolo ben prima della scadenza. Ricordando peraltro che sui mercati a tassi più elevati e quotazioni più depresse corrispondono maggiori rischi di perdita e che se non potete o volete cogliere un’occasione oggi non dovete disperarvi, ve ne saranno altre in futuro.

Per cui chi non se la sente può tranquillamente mantenere i propri soldi in Bot (l’emissione scadenza giugno 2013 rende ad oggi attorno al 2,85% netto, il 3,37% lordo) o magari farsi qualche giorno di ferie, alla faccia di quei “tecnici” prestati alla politica (si fa per dire) che pensano ancora che riducendo il numero di ferie si possa aumentare la produttività del lavoro e dunque il Pil (che invece sono maggiormente legati all’innovazione di prodotto e processo nonché alla qualità del fattore lavoro, ossia alla formazione di dipendenti e collaboratori).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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