Crisi europea, l’ennesimo punto e a capo. Il timore sempre più chiaramente espresso di un nuovo default greco e finanche di una conseguente uscita di Atene dall’Euro, assieme a voci sulla necessità di nuove robuste iniezioni di aiuti pubblici alle banche spagnole, alle prese con l’emersione delle vere cifre della crisi del mattone, tornano a impensierire i mercati finanziari europei, che falliscono anche oggi il tentativo di rimbalzo dopo il tonfo già segnato ieri. In verità alcune voci fuori dal coro, come quelle di Eric Le Coz, deputy managing director di Carmignac Gestion, considerano “opportuno fare una distinzione tra un consolidamento sempre possibile a breve termine e un trend positivo che potrebbe perdurare oltre la primavera” per i mercati azionari globali, visto che se il vecchio continente attraversa una rinnovata crisi gli Usa registrano “una crescita sana, che dovrebbe mantenere il ritmo attuale” per quanto non esaltante, mentre la Cina “non è sull’orlo del precipizio, l’economia non incorrerà in rischi di “hard landing” ma registrerà una crescita del 7%-7,5%”, il che “in un anno di transizione politica, in un contesto internazionale reso difficile dalla situazione europea” appare una prospettiva “di tutto rispetto”. Ma certo non si può negare che i problemi, preesistenti, siano un giorno dopo l’altro sempre più evidenti, col risultato di porre fine alla “ricreazione” vista dallo scorso novembre che ha portato a rialzi anche del 25%-30% in meno di sei mesi per i principali indici di borsa mondiali. Da un lato il “pragmatico Mario Draghi” come nota ancora Le Coz, “attraverso il successo della gestione delle operazioni di rifinanziamento a tre anni delle istituzioni finanziarie dell’eurozona, ha reso possibile che una simile crisi (greca, portoghese, ecc) non si traducesse in una crisi di liquidità bancaria”, d'altro lato si è trattato di un successo solo a metà, poiché le banche “hanno per la maggior parte utilizzato questo finanziamento a basso costo per risanare i propri bilanci e per reinvestire questa liquidità nel debito sovrano emesso dal proprio paese”, mentre “la quota destinata al finanziamento dell’economia reale resta molto modesta”. E questo è un problema, visto che “solo una forte correlazione tra politica monetaria ed economia reale potrebbe parzialmente compensare i provvedimenti di austerità fiscale massicci e generalizzati adottati in tutta Europa”, mentre “è illusorio credere di poter raggiungere gli obiettivi di riduzione dei disavanzi senza crescita o inflazione” come sembra ancora sperare la Germania “flirtando” con l’idea di una “cacciata dall’Eden” dei peccatori impenitenti del Sud Europa, Grecia in testa, piuttosto che consentire maggiore libertà di azione alla Bce (che a differenza della Federal Reserve non ha alcun obiettivo di piena occupazione, dunque di massimizzazione della crescita, ma solo di stabilità dei prezzi) o ulteriori rafforzamenti dei “firewall” comunitari ad esempio tramite il lancio di eurobond/projectbond comunitari destinati a finanziare opere infrastrutturali che aiutino le imprese del vecchio continente a recuperare parte della propria competitività perduta (altrimenti recuperabile solo agendo sul costo del lavoro con pesanti conseguenze sociali per il Sud Europa e forse anche il Centro).
Un suggerimento da ascoltare. In questo quadro la decisione del governo di Madrid, annunciata lunedì scorso nonostante fosse stata più volte smentita nelle settimane precedenti, di iniettare 10 miliardi di euro di mezzi freschi nel capitale di Bankia, istituto nato dalla fusione di sette precedenti casse di risparmio con un’esposizione al settore immobiliare pari a 38 miliardi di euro di cui 18 considerati “problematici”, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg secondo gli analisti di Open Europe. La forma più probabile di ogni futuro intervento – spiegano gli esperti – sarebbe “la ampiamente ipotizzata bad bank” che però dovrebbe riuscire a rispondere in modo convincente ad una serie di domande per poter funzionare. “La prima, come sempre, è da dove verrà il denaro”, visto che le banche spagnole hanno per ora 54 miliardi di euro di riserve a fronte di 136 miliardi di prestiti dubbi, “un numero che potrebbe salire se le condizioni peggioreranno, in particolare con gli attesi ampi cali dei prezzi del settore immobiliare”. In questo caso secondo Open Europe sarebbe necessario che le riserve venissero quanto meno raddoppiate e visto che “assicurarsi fondi privati sembra virtualmente impossibile”, resterebbero solo due fonti per i fondi pubblici: il fondo spagnolo per la ristrutturazione del settore creditizio (Frob) e i fondi di salvataggio europei (Efsf/Esm). “Il Frob – ricordano gli analisti – ha in teoria una capacità di finanziare fino a 99 miliardi ma molta della cassa andrebbe reperita emettendo debito, con solo 18 miliardi di euro garantiti direttamente dallo stato” e questo pone seri dubbi sul fatto che il fondo possa reperire risorse a basso costo se dovesse garantire una “bad bank”, il che fa temere che la parte maggiore del buco dovrebbe essere coperta dai fondi europei. Ma un simile trasferimento di fondi in questo momento “potrebbe avere l’effetto della dinamite in Europa” a causa del pesando “moral hazard” associato al salvataggio di banche che rischia di minare nuovamente la fiducia nelle banche europee. Per evitarlo occorrerebbero, suggeriscono gli analisti, “una valutazione esterna onesta di questi crediti dubbi, qualcosa che la Spagna e l’Eurozona intera hanno finora cercato di evitare”. In conclusione per riuscire nel suo intento di salvare il settore bancario Madrid dovrebbe accompagnare i suoi sforzi “con condizioni trasparenti”, lasciando alcune banche “fallire o essere assorbite da altre, se una percentuale troppo elevata dei loro asset dovesse essere trasferita alla bad bank”. Sarebbe, concludono gli analisti, il modo migliore per dimostrare che i fondi pubblici “non verranno utilizzati solo per sostenere le banche, che solo modelli di business vitali sopravviveranno e che il governo spagnolo è orientato a favore di riforme” strutturali. Un suggerimento che sarebbe auspicabile seguisse non solo Madrid ma anche Roma, smettendola di inseguire la retorica dell’”italianità” di banche e imprese e cercando soluzioni pragmatiche alla crisi che passano inevitabilmente per l’accettazione della realtà. E la realtà è che non sono mai esistiti pasti gratis e i debiti prima o poi si saldano, a livello di singola banca e impresa o di stati nazionali. Il che richiede accettare anzitutto che vi sia un conto da pagare (anche attraverso una serie di riforme e liberalizzazioni mai varate dai governi che hanno preceduto quello di Mario Monti nel corso dei precedenti 20 anni), poi impegnarsi per saldarlo in tempi ragionevoli e non imposti da diktat politici dell’egemone tedesco.
Una postilla. Siccome sento e leggo in giro per la rete dichiarazioni accorate pro o contro l’affermazione di Monti che in Italia i suicidi non starebbero aumentando e sarebbero comunque ancora poca cosa rispetto a quelli di altre nazioni come la Grecia, cerchiamo di fare chiarezza. I dati sui suicidi sono disponibili sino al 2010, quando sono ammontati in totale a 3.048 in tutta Italia, sul sito dell’Istat. Le tabelle disponibili mostrano con chiarezza due cose: primo, che i suicidi, in calo fino al 2007 (quando furono 2.828) sono tornati da allora a crescer, secondo che le motivazioni economiche erano nel 2010 ancora una frazione relativamente modesta del totale, per quanto ben più elevata dei numeri di cui parla la stampa in questi giorni (187 casi in tutto l’anno contro i 34-36 suicidi di “imprenditori” da inizio anno a oggi). Le statistiche non dimostrano peraltro né che l’incremento assoluto del numero dei suicidi in questi anni sia una conseguenza della crisi economico-finanziaria (peraltro esplosa in tutta la sua evidenza proprio sul finire del 2008 dopo il fallimento di Lehman Brothers) né che la colpa degli ultimi decessi sia legata alle misure varate dal governo Monti piuttosto che alle conseguenze dell’azione (o inazione) politica dei suoi predecessori. Visto che si sta parlando di vite umane forse sarebbe necessaria maggiore prudenza di giudizio da parte di tutti, giornalisti e presunti esperti per primi.