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Deficit / PIL al 2,4%

Crescita, debito e spread: stiamo davvero andando a sbattere?

Che cosa sta succedendo intorno alle previsioni contenute nella Nota di Aggiornamento al DEF e base della prossima legge di bilancio? Che partita sta giocando la maggioranza di governo e quanto davvero stanno rischiando i cittadini italiani? Proviamo a mettere in ordine ciò che c’è e a capire cosa ci aspetta nei prossimi mesi.
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Come ampiamente atteso, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sostanzialmente bocciato la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza predisposta dal governo Conte e base della imminente legge di bilancio, che conterrà le tre architravi del programma comune Movimento 5 Stelle – Lega: il reddito di cittadinanza, il superamento della legge Fornero e un primo esperimento di flat tax (limitatamente alle partite IVA che dichiarano meno di 65mila euro). Per i tecnici le previsioni, tanto per il prossimo anno che per il biennio 2020-2021, sono troppo ottimistiche e non è possibile calibrare una manovra di bilancio su stime basate su “poco realistici forti trend al rialzo”; inoltre, il “nuovo deficit programmatico della NADEF 2018 incorpora una maggiore spesa per interessi rispetto alle previsioni tendenziali dovuta all’aumento dello spread rispetto agli altri paesi della UE “; infine, si legge nella relazione, “sembrerebbe mancare una compiuta analisi delle condizioni cicliche che hanno portato alla proposta del Governo di deviare dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine, nonché la scansione temporale del piano di rientro”.

Ora, è vero che l’Ufficio parlamentare di bilancio si limita a svolgere analisi e a valutare il rispetto delle regole di bilancio (non che sia cosa di poco conto, considerato che il governo potrebbe essere chiamato a fornire spiegazioni aggiuntive nel merito), ma la bocciatura arriva dopo una giornata devastante in cui: sia Bankitalia che FMI avevano confermato tutti i dubbi sulle scelte del Governo; il ministro dell’Economia Tria si era esposto a una figura non proprio esaltante in Commissione Bilancio della Camera dei deputati; lo spread era schizzato sopra quota 310.

La reazione dei due principali azionisti della maggioranza è stata piuttosto prevedibile. Matteo Salvini ha rispolverato il classico “me ne frego”: “La manovra non cambia, ho assunto un impegno per cambiare la Fornero e adesso perché qualcuno a Bruxelles, lo spread o Bankitalia mi dice che non va bene dico agli italiani che ho scherzato? Io vado dritto”. E Luigi Di Maio gli ha fatto eco, spiegando di non voler “tradire i cittadini” e attaccando praticamente tutte le istituzioni che hanno espresso dubbi sull’impostazione della legge di bilancio.

La tesi dell'asse Di Maio – Salvini è che le scelte politiche non possano essere messe in discussione dalle oscillazioni del mercato o dalla salita dello spread. È una tesi che ha ovviamente grande dignità politica, anche considerando i bisogni e le esigenze dei cittadini italiani. Ma è anche una linea che deve fare i conti con la realtà, nella considerazione della enorme distanza che passa fra propaganda politica e azione di governo. Che invece troppo spesso si sovrappongono, finendo con l'essere indistinguibili e creando un effetto straniante nei cittadini. In campagna elettorale, il M5s assicurava di aver trovato le coperture al reddito di cittadinanza tramite razionalizzazioni e tagli di spesa, la Lega sulla flat tax garantiva che avrebbe aumentato il gettito fiscale: entrambe le misure ora sono fatte in deficit, aumentando semplicemente la spesa corrente.
E ora, cosa significano le parole del ministro Savona a Porta a Porta ("Se lo spread ci sfugge la manovra deve cambiare") o, probabilmente nel verso opposto, quelle di Tria che in audizione spiega che il superamento della Fornero può essere "una temporanea ridefinizione delle condizioni per il pensionamento"? Perché il governo, in particolare Savona, è convinto che il prodotto interno lordo dell'Italia possa crescere "ben più dell'1,5% messo nella Nadef" (il ministro degli Affari Europei parla del 2%), nonostante tutte le istituzioni europee e la stragrande maggioranza degli analisti indipendenti dicano il contrario? Che partita si sta giocando e che rischi ci sono per gli italiani?

La versione del governo

La linea ufficiale dell'esecutivo è chiara e riassumibile in una serie di enunciazioni di principio: portare il rapporto deficit / Pil al 2,4% serve a finanziare le misure "promesse" agli italiani in campagna elettorale e nei mesi che hanno preceduto la formazione del governo; gli investimenti e le stesse misure che saranno impostate in legge di bilancio determineranno una maggiore crescita del PIL e ciò consentirà di mettere in sicurezza il rapporto col deficit e anche di ridurre il debito; lo spread può essere tenuto sotto controllo anche, anzi soprattutto, se la BCE continuerà ad acquistare titoli di Stato italiani. Negli ultimi giorni, poi, sia Salvini ("gli italiani di daranno una mano, se serve") che Castelli  (“il cittadino si deve ritenere parte del progetto e dobbiamo chiedergli di crederci”) hanno lasciato intendere che l'esecutivo intende convincere gli italiani a investire in questo progetto a medio termine. Niente prelievo forzoso sui conti correnti o patrimoniale, il mezzo potrebbe essere quello dei nuovi Conti individuali di risparmio (CIR), un pacchetto di investimenti agevolato nel debito pubblico italiano che, secondo alcune indiscrezioni, “prevede una serie di incentivi fiscali: dall'esenzione Irpef sui rendimenti, qualora si mantengano i titoli fino alla scadenza, la deducibilità al 23% delle cifre investite e l'irrilevanza ai fini Irpef di eventuali plusvalenze o minusvalenze”. L'obiettivo sarebbe quello di spingere i cittadini a "ricomprarsi" il debito pubblico italiano, finanziando al contempo anche investimenti in opere pubbliche e infrastrutture.

Tria e Di Maio contano di convincere Bruxelles ad accettare il piano italiano, giocandosi la carta della stabilità complessiva dell'Italia. La linea suona più o meno così: cosa accadrebbe alla UE nel suo complesso nel caso di una crisi politica aperta dalla caduta del governo determinata dal veto delle istituzioni europee a un "leggero" aumento del deficit per finanziare misure attese da tempo dagli italiani? Davvero Bruxelles si assumerà la responsabilità di buttare giù a colpi di spread e di downgrade del rating un governo che gode del consenso di oltre il 60% degli italiani? È quello che alcuni analisti considerano un "ricatto" a Bruxelles, lasciando intendere che possa essere un vero turning point per il nostro Paese.

Cosa farà l'Europa?

La situazione è fotografata dalle parole proprio di Paolo Savona: “Cosa succederà se l’Europa si mette in una situazione conflittuale rispetto a questo programma io non lo so dire. Come ho sempre ripetuto, deciderà il popolo, non io. Io a quel punto mi metterò da parte, perché non sarà più mia responsabilità”. Se non è un ricatto, insomma, ci manca poco. La UE, però, è chiamata a valutare il complesso della manovra e, stando alle analisi pubblicate in questi giorni, difficilmente potrà avallare le previsioni ultraottimistiche del Governo. Sono principalmente tre le questioni su cui la distanza rischia di non essere colmabile, nemmeno con uno sforzo di buona volontà.

Le previsioni di crescita del PIL: a fronte di un +0,2% di investimenti si immagina una crescita ulteriore almeno dello 0,6%, un moltiplicatore che definire ambizioso è un eufemismo, soprattutto in una congiuntura internazionale non così favorevole. Poi, il merito delle scelte del Governo, che aumenta il deficit per il reddito di cittadinanza e la Fornero (con un aumento della spesa corrente), viste più come cambiali elettorali che come misure espansive. Il debito, soprattutto. Il piano di riduzione del rapporto debito – PIL non è ritenuto sufficientemente solido e, in ogni caso, come spiegato anche dal vicedirettore generale di Bankitalia Signorini, “prefigura un percorso più lento sia di quello prefigurato nelle previsioni tendenziali sia di quanto consentito dall'attuale congiuntura economica e rinvia a una data imprecisata il conseguimento dell'equilibrio di bilancio pubblico” (senza contare il fatto che la spesa per gli interessi sul debito rischia di salire a cifre elevatissime, proprio in conseguenza di un aumento dei tassi).

La lettura "riduzionista" dell'aumento del debito pubblico fatta in questi giorni da fonti della maggioranza, inoltre, non si concilia affatto con la necessità di collocare ogni anni sul mercato oltre 400 miliardi di euro di titoli di Stato. Un deprezzamento del valore di tali titoli può infatti determinare lo scenario in cui le banche italiane (che sono piene di titoli di Stato) limitano il credito ad aziende e famiglie, dando un colpo durissimo alla stessa crescita economico. L'ipotesi di un downgrade del debito pubblico da parte delle agenzie di rating, poi, comporterebbe la trasformazione in "spazzatura" dei nostri titoli, con un effetto drammatico sull'intera economia. Come scrive Bordignon su LaVoce.info, "il paese è già molto vicino al non investment grade, il giudizio secondo quale molti fondi di investimento non possono più investire sui titoli pubblici e le banche non possono più usare i titoli di stato come collaterale per finanziarsi presso la Bce; è probabile che la manovra conduca a un ulteriore declassamento, con ovvi effetti sullo spread e i tassi di interesse".

Ora, considerando che il governo non appare allineato su questo tipo di preoccupazioni, le istituzioni europee hanno sostanzialmente due strade: opporsi alla manovra per cercare di correggerla, magari facendo appello a Mattarella, oppure lasciarci andare. 

Più il clima sarà disteso, più il nostro dialogo sarà costruttivo”, dice il commissario Moscovici. Il punto, però, è che per Bruxelles la manovra nel suo complesso non è credibile e la reazione dei mercati di questi giorni non è un capriccio, ma la risposta naturale all’assenza di garanzie circa la solidità politica e finanziaria del paese. Che margini di trattativa ci sono, in queste condizioni?

E quindi?

Quella che vi abbiamo riportato è una lettura che la maggioranza non può accettare, stretta com'è tra chi descrive i mercati e le istituzioni UE come entità astratte che vogliono imporre la politica economica – finanziaria di uno Stato sovrano e chi non ha ancora rinunciato al recondito sogno di portare il Paese fuori dall’unione e dalla monete unica. Cosa accadrà, dunque? La Commissione Europea ha già inviato una lettera al nostro Governo per esprimere dubbi sui saldi del DEF e si troverà a dover dare una risposta sulla bozza della legge di bilancio, che deve essere presentata entro il 15 ottobre. Escludendo un via libera immediato, le possibilità sono due: sollecitare delle modifiche su aspetti specifici della proposta italiana, oppure contestare interamente il testo, chiedendone una nuova formulazione.

Come spiega Il Sole 24 Ore, non è mai capitato prima d’ora che la Commissione respingesse in toto una manovra nazionale: “Finora la Commissione europea nel valutare i bilanci nazionali ha sempre preferito usare la mano leggera, trovando un compromesso con i governi in difficoltà. Spesso Bruxelles ha inviato richieste di correzione, agendo nei fatti sul processo di approvazione in Parlamento”. Ma se la Commissione considerasse a rischio la stabilità dell’intera zona euro, le cose potrebbero cambiare. La violazione delle regole di bilancio potrebbe essere punita con delle sanzioni (deposito vincolante, stop agli investimenti della BCE, multe), anche se, spiega sempre Il Sole, l’Italia non è attualmente “fuori” dai parametri perché non ha disavanzo sopra il 3% del PIL. Insomma, una partita a scacchi che si annuncia lunga e complessa, anche perché ci sono giocatori che rispondono a progetti e interessi diversi e contrastanti.

Prendiamo infine in considerazione lo scenario zero, quello dell’incidente. Di Maio e Conte in particolare hanno sempre negato che esista un piano B. Nel caso in cui le agenzie di rating abbassassero il rating dell’Italia, lo spread fosse definitivamente fuori controllo e una nuova speculazione si abbattesse sul nostro Paese, infatti, la UE potrebbe definitivamente sganciarsi e lasciare che il nostro Paese se la cavi da solo. A quel punto, come reagirà la politica? Le frange che hanno sempre immaginato che l’uscita dall’euro fosse una soluzione potrebbero cavalcare l’incertezza e rafforzare la loro posizione internamente ai partiti della maggioranza, verosimilmente ancora più forti dal punto di vista del consenso popolare. È il piano B, appunto. L’Italia “lasciata andare” dalla UE e fuori dall’euro. Speculazioni, al momento. Al momento.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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