“Così noi migranti veniamo massacrati nell’inferno della Libia”
"A voi amici miei che vi trovate dalle parti dell'Algeria e del Marocco. In Libia non si scherza adesso, amici miei, non cercate neanche di metterci piede. E' disastroso, 80 morti in un massacro non più di una settimana fa. Uccidono i neri per nulla". Sono le parole scritte sul profilo facebook di un immigrato di origini camerunensi ospite di un centro di accoglienza del Centro Sud Italia, parole corredate da una serie di foto raccapriccianti: uomini di colore decapitati, altri con il cranio fracassato, o cadaveri avvolti in coperte. Tutti, comunque, abbandonati in strada, in un quartiere di Tripoli: la mattanza, spiega la nostra fonte, sarebbe avvenuta nel quartiere Gargaresh. Bande criminali in lotta per il controllo del traffico di droga e prostituzione avrebbero aperto una faida in cui sarebbe morto anche un agente di polizia. Per questo le forze di sicurezza all'indomani sarebbero arrivate sul posto per dare una lezione alle gang, coinvolgendo però molti migranti che lì vivono: "C'è un posto in quel quartiere che si chiama Chad, dove ogni mattina i neri si riuniscono per recarsi a lavoro. E' lì che è avvenuta la strage. Sono arrivati coi veicoli blindati, armati fino ai denti, ed hanno massacrato persone innocenti".
"Ottanta morti – continua a dire il richiedente asilo a Fanpage – solo la scorsa settimana. E' stato un massacro, ma nessuno ne parla. In Libia sono molto razzisti verso chi proviene dall'Africa subsahariana, soprattutto verso quelli di fede cristiana. Molti migranti vengono sequestrati al confine con l'Algeria, poi caricati in dei container e trasportati in tutto il paese: io stesso sono stato rapito a Djanet, in Algeria, poi caricato in un camion con altre 15 persone, quindi trasferito da un'auto all'altra fino ad arrivare a Sirte. Sono ancora fortemente provato da quello che ho subito".
Il racconto poi riprende: "Quello che ho visto nelle carceri libiche mi lascia ancora sconvolto: le donne vengono sistematicamente violentate, a noi uomini vengono chiesti tra i 1.500 e i 2000 dinari (circa mille – 1.500 euro) per essere liberati. Chi non ha i soldi viene schiavizzato e molto spesso ucciso sul posto, senza nessuna pietà. Io ho dovuto lavorare giorno e notte per costruire la casa del direttore del carcere di Fatmasal, a Tripoli. Mi venne dato un sacco di riso da trenta chili, un litro d'olio e due bottiglie di pomodoro. Non ho mangiato altro per 4 mesi. L'uomo che era con me, al termine di quel periodo, venne ucciso, i suoi organi asportati. Se l'Onu non interverrà sarà una carneficina".
La via del mare: unica salvezza dalle atrocità della Libia
La testimonianza della nostra fonte è raccapricciante e dimostra come – molto spesso – prendere la via del mare rappresenti per i migranti in Libia l'unica speranza di salvezza, anche se si tratta di una scelta a sua volta carica di rischi. L'appello – inoltre – conferma una volta di più quanto denunciato già nel luglio scorso da Amnesty International, che ha raccolto le testimonianze di omicidi, abusi sessuali, torture e persecuzioni religiose subite sistematicamente da migranti e rifugiati in Libia: "Migranti e rifugiati hanno raccontato, con particolari agghiaccianti, l’orrore che sono stati costretti a subire in Libia: rapimenti, detenzione in carceri sotterranee per mesi, violenza sessuale, pestaggi, sfruttamento, uccisioni" – ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International".
Amnesty International: "In Libia migranti torturati e uccisi"
Appena entrati in Libia, i migranti vengono spesso presi sotto il controllo armato dei trafficanti e successivamente venduti a bande criminali. Sono molti quelli che, al solo pronunciare la parola "Libia", mutano espressione del volto e parlano di omicidi immotivati, torture, riduzione in schiavitù: quello descritto dalla nostra fonte è un inferno dove "se non fai quello che i libici ti ordinano vieni ucciso. Credimi, amico mio, non c'è un posto peggiore della Libia per un migrante". A confermarlo, nel rapporto di Amnesty, il 18enne somalo Ahmed: "Quando arrivi in Libia, quello è il momento in cui inizia tutto, quando cominciano a picchiarti. I trasportatori si rifiutano di darti da bere e a volte sparano a chi supplica un goccio d'acqua". Un eritreo, invece, racconta: "Hanno gettato un uomo dal pick-up lasciandolo nel deserto. Era ancora vivo. Era un disabile". I racconti riportati nel dossier Amnesty sono raccapriccianti. Saleh, 20 anni, eritreo, entrato in Libia nell’ottobre 2015 e rapito poco dopo per ottenere un lauto riscatto dalla famiglia, riferisce: "Ho visto un uomo che non poteva pagare il riscatto sottoposto a scariche elettriche mentre era in una vasca d’acqua. Minacciavano la stessa fine a chi non avesse avuto i soldi per pagare il riscatto".
Ma l'Italia chiede alla Libia: "Fermate le partenze dei migranti"
Il trattamento riservato ai migranti in Libia è con ogni evidenza indegno. Tuttavia ciò non ha impedito al Ministro degli Interni italiano Marco Minniti di recarsi a Tripoli nei giorni scorsi per incontrare il presidenziale Fayez Mustafa Al Serraj e il ministro degli Esteri, M. Siyala per mettere a punto un "memorandum d'intesa" finalizzato a rafforzare la "cooperazione tra i due paesi", soprattutto con riferimento "al settore migratorio, così come alla lotta alle organizzazioni criminali che sfruttano i migranti". Lo scopo del governo italiano è quello di fermare le partenza via mare ignorando, evidentemente, che per un migrante rimanere in Libia rappresenta un pericolo enorme. Per raggiungere lo scopo, Minniti ha rispolverato l'accordo del 2008 tra Gheddafi e Berlusconi: "L'Italia – spiegavamo il 10 gennaio – chiederebbe alla Libia di impedire ai barconi di partire e di intensificare i controlli alle frontiere sud del paese, impedendo i passaggi dal Niger (attività per cui il nostro paese ha promesso aiuto), e il rimpatrio verso i paesi dell’Africa subsahariana dei migranti che non dovrebbero più riuscire a partire. In cambio, a Tripoli potrebbe essere fornito un sistema di radar – già previsto nell’accordo del 2012 ad opera del ministro Cancellieri". Che ne sarà dei migranti in territorio libico, al governo italiano al momento sembra interessare ben poco.