Così abbiamo armato la dittatura
Non è una novità, quello che emerge dal Rapporto di Amnesty International, tutt'al più si tratta dell'elaborazione di dati precisi che tracciano il percorso che armi di ogni tipo, armi leggere, fucili, munizioni, mitragliatrici, mezzi blindati, gas lacrimogeni, granate, hanno compiuto, partendo da paesi industrializzati per cui questo traffico costituisce uno dei perni della propria economia, giungendo nelle mani dei feroci dittatori che sono stati protagonisti delle notizie relative alla primavera araba, ultimo tra questi Muammar Gheddafi la cui morte pone la parola fine sulle gesta di un tirannico criminale.
Proprio la Libia, ad esempio, la cui sorte ha mosso gli interessi di numerosi paesi europei negli ultimi mesi, secondo i dati del Comtrade riportati nel rapporto, avrebbe ricevuto negli anni compresi tra il 2005 ed il 2009 armamenti militari dalla Repubblica Coreana, ma anche armi da fuoco non militari dagli Stati Uniti, per un valore di 431 390 dollari, e dall'Italia per un ammontare di più di sei milioni di dollari, nonché munizioni da guerra da Francia, Serbia, Belgio, Germania; munizioni a grappolo e proiettili da mortaio di fabbricazione spagnola, inviati dalla penisola iberica appena un anno prima che la Spagna firmasse la Convenzione che dichiarava proibite proprio quel tipo di munizioni a grappolo.
Ritrovate a Misurata dopo il bombardamento del colonnello sulla città libica, sono tra i tanti strumenti grazie ai quali il rais ha potuto seminare il terrore indisturbato in quel paese e su quella gente che considerava delle sue proprietà; prima che quelle stesse armi gli venissero rivolte contro. I Governi di questi paesi, e non solo, così pronti rilasciare dichiarazioni indignate su quanto accadeva in quell'angolo d'Africa hanno autorizzato, a partire dal 2005, la fornitura di armamenti al regime del colonnello, le cui forze, durante il recente conflitto, hanno commesso atrocità definibili crimini contro l'umanità.
Bulgaria, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti, Turchia e Ucraina, solo per citarne altri, «hanno fornito assistenza militare o autorizzato esportazioni di armi, munizioni e relativo equipaggiamento allo Yemen» con risultati sotto gli occhi di tutti: centinaia di morti, gli ultimi appena due giorni fa, un bagno di sangue il cui scopo è quello di soffocare le rivolte e la comunità internazionale che, di contro, non ha intrapreso alcuna azione al fine di porre fine a questo barbaro traffico, che arma le mani di aguzzini spietati di popoli che stanno chiedendo solo il proprio diritto fondamentale, la libertà.
Armi che non invecchiano, se si pensa che parte dell'artiglieria pesante libica è di fabbricazione sovietica; armi che devastano, come i fucili usati indiscriminatamente dalle forze di sicurezza del Bahrein e dell'Egitto; armi di cui non si conosce la sorte, se si pensa che la Russia, che destina il 10% delle sue esportazioni alla Siria, non pubblica alcun rapporto annuale sullo stato dei suoi commerci; armi che sono una risorsa di più di venti paesi che procurano forniture milionarie (o miliardarie nel caso degli Stati Uniti con l'Egitto) a paesi di cui smorzano, così, ogni speranza di riscatto. Come affermato da Helen Huges, principale ricercatrice del rapporto:
I governi che ora affermano di stare dalla parte della gente in Medio Oriente e Africa del Nord sono gli stessi che fino a poco tempo fa hanno fornito armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in paesi come la Tunisia e l'Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Siria e Yemen.
Amnesty riconosce i passi avanti fatti dalla comunità internazionale quest'anno, ponendo finalmente un limite a trasferimenti di armi a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen, ma i danni delle esportazioni degli anni precedenti sono troppo lampanti per poter chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti umani che hanno comportato; solo una seria politica attenta a valutare caso per caso, potrebbe costituire un vero punto di svolta. Non certamente un semplice embargo per questi cinque paesi, mentre in qualche altro territorio devastato da povertà , miseria e sopraffazione continuiamo a vendere armi, coprendo il tutto con un ipocrita silenzio.