“Il presepe? Uno in ogni Comune, ma anche in tutte le scuole. La tradizione è in pericolo e va difesa anche con il presepe, che va messo in tutti i luoghi dove si voglia. Non penso serva una legge ma bisogna tutelare le nostre usanze. Se si fa venire nel nostro Paese troppa gente, ognuno porta le proprie tradizioni e rischia che non resti niente delle nostre”.
Umberto Bossi, anno del signore 2009.
“Cancellare il Natale e la nostra storia? Mai! Il Vescovo di Padova non abbia paura, nessuno di noi deve averne: cantiamo, celebriamo, festeggiamo! Difendiamo le nostre Tradizioni, orgogliosi della nostra Storia per costruire un Futuro migliore”.
Matteo Salvini, anno del presepe 2015.
A vederla in questo modo, niente di nuovo sotto il sole, dunque. Bossi e Salvini, lontani anni luce per linea politica e registro comunicativo, uniti nella difesa della tradizione, delle radici cristiane, di uno dei simboli dell’identità nazionale.
O forse no. Perché la questione, a parere di chi scrive, è ben più complessa. Si è tanto scritto in passato sul come la Lega Nord da forza di rottura, da grimaldello antisistema (alle origini anche antifascista e anticlericale), si fosse trasformata, sotto la guida di Umberto Bossi, in partito strutturato, tradizionale e conservatore (la “romanizzazione dei leghisti”, insomma). E ugualmente tanto si è scritto sul cambio di passo di Matteo Salvini, in grado di risollevare le sorti di un partito ai minimi storici, senza altra prospettiva che la lenta condivisione del tramonto berlusconiano.
Paradossalmente, però, se il punto di approdo dei due processi di cambiamento del Carroccio è lo stesso (la difesa della tradizione, delle usanze e dei costumi), sono molto diversi i percorsi, le motivazioni e le prospettive.
In comune c'è l'uso politico del presepe e dei simboli religiosi, certo. Che però Salvini rielabora, ridefinisce, o meglio, inserisce nel suo registro comunicativo. Il presepe non diventa solo un simbolo identitario, ma anche l'effigie di un mondo che rischia di andare in frantumi sotto la minaccia di invasori, fondamentalisti, terroristi. È il modo più semplice e semplicistico con cui Salvini riesce a far intravedere l'abisso, a disegnare nella testa delle persone cui si rivolge un futuro di angoscia e insicurezza, un domani senza punti di riferimento.
La chiamata alle armi tra il bue e l'asinello ha senso solo se letta in questo senso: non la testimonianza di una appartenenza (religiosa, confessionale, "etnica"), ma il simbolo di una scelta di campo. Che ha ragione d'essere in una società in conflitto, in cui c'è una componente che tenta di prevaricare l'altra, di "imporre le proprie usanze", di annichilire le altre tradizioni, di "corrompere le menti delle giovani generazioni" (e non è un caso che il terreno privilegiato dello scontro sia la scuola, si veda anche la questione del crocifisso).
La grande differenza fra Bossi e Salvini è proprio in questo. Salvini non ha alcun interesse a presentare la Lega Nord come forza "responsabile e moderata". Salvini sa che il suo messaggio non può attecchire in una società "pacificata", sa che sul campo della "responsabilità" non ha margini di manovra e sa benissimo che la sua forza risiede proprio nella capacità di leggere meglio degli altri la conflittualità sociale (o di generarla, eh). E sul suo terreno non c'è spazio per i dubbi, per le accuse di semplificazione del reale (sul serio credete che Salvini non sappia che Gesù era palestinese/ebreo?), per i distinguo e per gli appelli al buonsenso. Siamo nel campo dello spontaneismo, in cui la sincerità ha preso il posto della verità, in cui semplificare è un pregio sempre e comunque, in cui l'elaborazione concettuale ha lasciato il campo allo slogan, alla battuta, al motto di spirito.
Salvini non sta riscoprendo il valore della tradizione come chiave per unire "una nazione", non ha interesse nel sistema di miti, credenze e simboli che sostiene la religione cattolica: piuttosto il suo è un processo (consapevole o meno importa poco) di sacralizzazione della linea politica, che si nutre di espedienti demagogici per conquistare il consenso di un ben preciso target di persone (solo in tal senso parlerei di lepenizzazione). Per traslare le riflessioni di Gentile, si tratta di un processo che punta a "plasmare e trasformare il carattere di un aggregato umano, dando agli individui che lo compongono una comunanza di sentimenti, interessi, idee", ma anche di simboli (il presepe), eroi (il benzinaio Stacchio, il pensionato Sicignano), utopie (l'uscita dall'Euro), modelli universali (la grande madre Russia).
È una comunità, con tanto di religione laica, quella che ha in mente Salvini. Un luogo da cui si è esclusi non (o meglio, non solo) per l'appartenenza etnica, religiosa o sociale, quanto per la non condivisione del sistema di "sentimenti, interessi, idee" suggerito (o anche mediato) dal leader carismatico. Tant'è vero che i nemici peggiori sono "gli intellettuali, i buonisti di casa nostra", quelli che "fingono di non vedere" che è in corso uno scontro fra civiltà (o un'invasione, o una guerra culturale…).
La Chiesa non c'entra niente. E resta, ne siamo sicuri, anche per Salvini, "l’altra bretella del regime del partito-stato, insieme ai sindacati". La Patria, nemmeno. Ma questo, per il momento, Salvini ancora non può dirlo ad alta voce.