Cosa rischiano i sindaci che non applicano il decreto sicurezza di Salvini
Il primo a lanciare un messaggio di ‘disobbedienza civile' nei confronti del decreto sicurezza è stato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Seguito da quello di Napoli, Luigi De Magistris, ma anche da altri primi cittadini come Dario Nardella, a Firenze, e Giuseppe Falcomatà a Reggio Calabria. Orlando ha sospeso gli effetti del decreto sicurezza, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, inviando una nota al capo dell’ufficio anagrafe del suo comune. Ciò che Orlando contesta è l’articolo 13 della legge, con il quale si stabilisce che il permesso di soggiorno rilasciato a un richiedente asilo non è sufficiente per iscriversi all’anagrafe e, di conseguenza, per aver diritto alla residenza. I comuni, dunque, non potranno più rilasciare a chi ha un permesso di soggiorno la carta d’identità né consentirgli l’accesso a servizi come l’iscrizione al servizio sanitario nazionale o ai centri per l’impiego. E proprio questo punto viene contestato da Orlando e dagli altri sindaci dissidenti.
I sindaci disobbedienti, però, vanno incontro a qualche rischio. Ieri Salvini tuonava: “Ne risponderanno penalmente”. Ma nonostante questo il fronte, guidato soprattutto dagli amministratori del Pd, potrebbe allargarsi. Davide Faraone, segretario dem in Sicilia, chiede a tutti i comuni della regione di applicare la direttiva anche nelle loro città, inviando anche la nota trasmessa da Orlando. Lo stesso sindaco di Palermo è tornato oggi sulla vicenda, annunciando di ricorrere a un giudice “per incostituzionalità di parte del decreto sicurezza. Si comincia coi migranti e si prosegue con altri. Tutti i regimi hanno iniziato con una legge razziale spacciata per sicurezza”, scrive su Twitter.
Il giudizio dei costituzionalisti
Alcuni quotidiano hanno interpellato esperti giuristi per capire se la mossa di Orlando è avventata e se il primo cittadino rischia qualcosa. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, spiega a Repubblica che quella scelta da Orlando potrebbe essere la via più breve per portare le norme davanti alla Consulta. Ma rimane una decisione giuridica debole e pericolosa: “L’amministrazione comunale è sempre chiamata ad applicare la legge, anche quando ipoteticamente potrebbe presentare dei profili di illegittimità costituzionale. Non può disapplicarla, tranne quando si tratti di una legge palesemente liberticida, cioè che provoca la rottura dell’ordinamento democratico”.
Parere simile anche per Giovanni Maria Flick, ex presidente della Consulta, che alla Stampa conferma: “L’articolo del decreto Salvini che nega la possibilità di ottenere la residenza ai richiedenti asilo presenta rilevanti dubbi di costituzionalità. Ma la strada per verificare se quella norma rispetti la Costituzione non è quella intrapresa da Orlando. Il comune, così come il singolo, può rivolgersi al giudice ordinario, anche con procedura d’urgenza. Sarà il giudice che, eventualmente, solleverà la questione di legittimità davanti alla Corte se riterrà che la norma violi dei diritti fondamentali”.
Cosa rischiano i sindaci
Dal Viminale, intanto, fanno sapere che i prefetti di Palermo e Napoli sono tenuti a denunciare i sindaci e gli uffici dell’anagrafe nel caso in cui non rispettino la norma contenuta nel decreto sicurezza. Il reato ipotizzato, secondo quanto riporta Repubblica, è quello di abuso in atti d’ufficio, aggravato dal fatto che i sindaci sono anche ufficiali di governo quando agiscono in materia di stato civile. Inoltre, ricorda ancora Repubblica, i prefetti possono decidere di annullare l’atto dell’ufficio comunale. Un'altra possibilità, più remota, è quella che il ministro dell'Interno rimuova i sindaci: una mossa possibile solamente in caso di "gravi e persistenti violazioni delle leggi". Un’ipotesi plausibile è quella dell’apertura di un contenzioso tra comuni e Stato. Poi, in un secondo momento, il giudice può sollevare la questione di legittimità costituzionale del decreto e portare il provvedimento davanti alla Corte costituzionale.