Mentre continua lo stillicidio di rivelazioni, indiscrezioni ed intercettazioni riguardanti gli ormai ex alti dirigenti del Carroccio (con la vicenda Rosi Mauro che sta assumendo contorni grotteschi), sono in tanti ad interrogarsi sul futuro politico della creatura di Umberto Bossi. Non da ultimo il direttore del Sole24ore Stefano Folli che argomenta con grande convinzione su come "la Lega (abbia) concluso il suo ciclo e sia ormai un rottame politico alla deriva […] con la difficoltà (per una nuova leadership) di arrestare il disincanto dei militanti e la fuga nell'astensione (che in questo caso fa davvero rima con disillusione)". Una lettura estremamente interessante che prosegue soffermandosi sulla figura di Roberto Maroni, uno dei pochi che al momento sembra avere la legittimazione per tirare il Carroccio fuori dal pantano e probabilmente l'unico tra i dirigenti "storici" che ancora gode della stima della base "dura e pura" dell'elettorato leghista. E a completare il quadro potremmo aggiungere l'analisi di Stefano Menichini sul senso e sulla valenza del "leader" e sull'eccessiva fretta con cui si tende a dare "per estinto il partito personale [mentre] la necessità di proporre leadership forti non è venuta meno. Essenziale è che cambino i fattori che definiscono la forza: non più la ricchezza, l’estetica, l’arroganza del politicamente scorretto, bensì la competenza, lo spessore internazionale, il rispetto delle regole, ovviamente l’onestà".
Maroni salverà la Lega, forse e a che prezzo? – E dunque che a raccogliere i cocci lasciati dalla famiglia Bossi debba essere l'ex ministro dell'Interno sembra cosa abbastanza pacifica. Il punto è però provare a capire in che modo Maroni riuscirà a tenere le fila del discorso complessivo e cosa dovrà inevitabilmente sacrificare. Come si mormora da qualche giorno, la sensazione è che le scelte possibili siano essenzialmente due, ben distinte e separate. Banalizzando: o il ritorno alle origini o il ricollocamento politico – istituzionale. Due strade che corrispondono sostanzialmente alle due anime della costruzione leghista, che l'attuale gruppo dirigente aveva provato a fondere nella prospettiva della contestazione radicale al Governo Monti e nel contemporaneo rafforzamento dei blocchi di potere territoriali, in gran parte dei casi legati a doppio filo con il centro di potere romano e con "l'odiata" macchina burocratico – amministrativa. Una linea fallita miseramente ben prima che l'arroganza del Trota, di Belsito e della "nera" trascinassero nel fango il Carroccio e gran parte della classe dirigente "gravitante intorno alla famiglia Bossi". Perché, anche se ora appare persino superfluo sottolinearlo, alla radice dei malumori della base storica dell'elettorato leghista erano già rintracciabili i prodromi di una crisi fin troppo profonda: inconsistenza della piattaforma politica, risultati scarsi e incapacità di mantener fede a quelle richieste di cambiamento radicale sbandierate ad ogni campagna elettorale, una sorta di "imborghesimento" di parte della dirigenza, nepotismo, clientelismo e i primi bagliori di una questione morale in salsa padana, nonché una certa insofferenza verso una gestione politica che, se effettivamente non era mai stata "collegiale e plurale", cominciava ad apparire sempre meno lucida e priva di prospettive a lungo termine (ancorata com'era all'abbraccio mortale con il berlusconismo al tramonto).
Ripartire dalla base, ma con che prospettiva? – E dunque, mentre gli ultimi sondaggi lo danno largamente favorito come prossimo segretario del Carroccio, a Roberto Maroni non resta che provare ad immaginare un assetto diverso per la compagine leghista. E non a caso il manicheismo con il quale sta impostando commenti e dichiarazioni post scandalo, con l'insistere sui concetti di "pulizia e trasparenza", sembra quasi parlare alla coscienza giustizialista delle camicie verdi. Militanti ed elettori che non esiterebbero a sacrificare il Trota e la "nera" pur di poter tornare a reclamare una coscienza immacolata e riesumare gli ormai datati slogan su Roma Ladrona e Padania Libera, fatto salvo il "salvacondotto personale" per il Senatur, il cui ruolo di nume tutelare Maroni non sembra poter in alcun modo mettere in discussione. Tutto qui, dunque? Una rapida epurazione interna e il rilancio della Lega "di lotta"? Niente affatto. Perché Bobo non può essere affascinato dalla prospettiva di una forza politica ai margini dell'agone politico, non certo dopo venti anni di co-gestione e non certo con centinaia di amministratori locali che necessitano di punti fermi e della cui pazienza (leggasi fedeltà) non si può abusare troppo a lungo. Così come Maroni sa benissimo che rilanciare una piattaforma politica datata e fragile (nonché già abbastanza rozza 20 anni fa) è cosa diversa dall'interpretare l'insofferenza ed il malcontento che pure albergano, non senza ragioni peraltro, nel profondo Nord. E per di più farlo a pochi giorni dalle elezioni…