Nel giugno del 2016, le forze di sicurezza irachene hanno ritrovato in un nascondiglio dell’Isis a sud di Baghdad un sacco di fertilizzante della Biolchim, un’azienda italiana leader nella produzione di concimi speciali per l'agricoltura. Ma come è finito questo prodotto nelle mani dei terroristi? Grazie alla piena collaborazione della Biolchim, un team di specialisti del Conflict armament reserarch (Car) è riuscito a documentare tutta la filiera che ha portato il fertilizzante fino in Iraq. Il sacco da 25 chilogrammi di Hydrofert 15.5.30 + 3 MgO (il nome commerciale del prodotto) faceva parte di un carico da 12,6 tonnellate partito nell'agosto 2013 dalla sede di Biolchim a Medicina, in provincia di Bologna, e diretto ad Amman, in Giordania. Il destinatario era la Green Land, un'azienda locale, che da trent'anni ha rapporti commerciali con il colosso italiano dei fertilizzanti. La maggior parte della spedizione è stata riservata al mercato giordano; con l’eccezione di 160 sacchi, rivenduti dalla Green Land a un loro cliente iracheno nel 2014. Lo stesso anno in cui gli estremisti guidati da Al Baghdadi proclamavano a Mosul la nascita del sedicente Stato islamico. Milioni di persone in fuga, intere città conquistate dai jihadisti quasi senza opposizione: una marcia trionfale che faceva temere la caduta della stessa capitale. E’ così, nel caos iracheno, una parte del Hydrofert 15.5.30 + 3 MgO è finita nelle mani dell’Isis.
Se questa è la risposta alla prima domanda resta forse l’interrogativo più importante: è possibile fabbricare un ordigno con questo fertilizzante? Dopo la pubblicazione del dossier sull'arsenale dell’Isis, Fanpage.it ha contattato la Biolchim. Leonardo Valenti, il Ceo dell’azienda emiliana, ha specificato che “il prodotto è destinato alla nutrizione delle piante e soprattutto non contiene materie prime esplosive, né tanto meno, utilizzabili per la produzione di esplosivo”. “Sono d'accordo con la Biolchim”, afferma un chimico consultato da Fanpage.it. “Il composto dei fertilizzanti che è esplosivo è l'ammonio nitrato, e questo fertilizzante ne ha un tenore bassissimo. Quindi escludo che, a meno di processi chimici laboriosi e onerosi e di una quantità stoccata molto alta di materiale, possa essere stato utilizzato maliziosamente”. “Più che di quantità assoluta – precisa l'esperto – in realtà il problema è che serve ammonio nitrato molto più puro per poterlo usare come esplosivo”. Gli fa eco Valenti che sottolinea: “Se veramente il nostro prodotto è stato utilizzato nel tentativo di produrre esplosivo, dobbiamo concludere che la competenza in campo chimico dell’Isis sembra veramente molto limitata”.
La fabbricazione di bombe con prodotti utilizzati in agricoltura, però, è una realtà in Iraq e Siria. Gli sforzi dei terroristi per procurarsi polvere di alluminio e altri materiali chimici è stata documentata anche da un'inchiesta del New York Times. “L'Isis ha dimostrato una sofisticata abilità nel fabbricare armi e ordigni esplosivi improvvisati (Ied, nell'acronimo inglese) – avverte Conflict armament reserarch – e il gruppo è in grado di acquistare nei mercati internazionali precursori chimici e altri preparati per lo sviluppo di queste armi”. Secondo l’Ong Swiss Foundation for Mine Action, i jihadisti dello Stato islamico hanno sviluppato notevoli capacità nel realizzare ordigni improvvisati, non solo a scopo difensivo ma anche come trappole esplosive nelle case e negli edifici delle città fino a poco tempo sotto il loro controllo. E proprio la presenza di queste bombe artigianali – affermano gli sminatori in Iraq – rappresentano un ostacolo al ritorno degli sfollati alle loro case.
Se da una parte il sedicente Califfato è stato sconfitto militarmente e ha perso tutti i territori conquistati in Iraq e Siria, la minaccia rappresentata dal ritorno in patria dei combattenti stranieri e la portata della propaganda jihadista rimane reale.
I metodi fai-da-te per costruire esplosivi continuano ad essere reperibili in Internet e gli ultimi attentati compiuti in nome dello Stato islamico ne sono una prova. Akayed Ullah, il cittadino originario del Bangladesh che l’11 dicembre ha tentato di farsi esplodere nel cuore di Manhattan, avrebbe fabbricato l’ordigno seguendo le istruzioni trovate in rete. Ma non è il solo, anche il kamikaze che ha agito a Manchester nel maggio scorso ha compiuto il massacro con una bomba costruita in casa, utilizzando materiali facilmente reperibili in commercio. E la propaganda jihadista non si fa scappare occasione di preannunciare attacchi di questo tipo.
“I foreign fighters dell’Isis stanno diffondendo le loro conoscenze in tutto il mondo”, ha dichiarato Ernest Barajas, un ex marine statunitense che ha lavorato come sminatore nelle aree occupate dallo Stato islamico. La capacità logistica e organizzativa unita alla possibilità di reclutare volontari in tutto il mondo, portano gli esperti in sicurezza a concludere che le azioni terroriste in nome del Califfato non sono destinate a finire presto.