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Cosa c’è nel manifesto politico di Carlo Calenda e che fine farà il PD

L’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda pubblica su Il Foglio il suo “manifesto di valori e di proposte” per una “alleanza repubblicana” in grado di opporsi a quello che considera “un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà”. Proviamo a capire cosa significa, in concreto.
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L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà. Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale”. È questo l’obiettivo dichiarato dell’ex ministro dello Sviluppo Economico del Governo Gentiloni Carlo Calenda che, in una lunga lettera a Il Foglio, mette nero su bianco il “manifesto valorale e di proposte” su cui intende impostare il “fronte repubblicano” contro populismi e sovranismi. Della possibilità di una sua discesa in campo, del resto, si parla da tempo, anche in relazione alla posizione tenuta nelle settimane di crisi istituzionale, quando si è segnalato per la forte contrarietà a ogni ipotesi di dialogo fra il PD e il Movimento 5 Stelle. Ora Calenda, che è un tesserato del Partito Democratico, dice come ha intenzione di concretizzare il suo impegno politico. Più o meno.

Il manifesto politico di Carlo Calenda

La lettera al direttore del Foglio si apre con la constatazione della crisi delle democrazie liberali, che si innesta in un ragionamento che vede nei guasti della globalizzazione una delle cause principali della fine della fase “dell’Occidente trionfante”. Calenda riconosce che “le nostre società sono divise in modo netto tra vincitori e vinti, la classe media si è impoverita, la distribuzione della ricchezza ha raggiunto il livello degli anni Venti, l’analfabetismo funzionale aumenta insieme a fenomeni di esclusione sociale sempre più radicali”. Una crisi che ha portato anche le classi dirigenti progressiste a smarrire la strada, tanto da “presentare fenomeni complessi, globalizzazione e innovazione tecnologica prima di tutto, come univocamente positivi, inevitabili e ingovernabili allontanando così i cittadini dalla partecipazione politica”. La crisi della democrazia liberale è, insomma, anche la crisi della socialdemocrazia e dei progressisti. Una condizione che, alla vigilia di quella che potrebbe essere una nuova “drammatica collisione” (determinata da fattori demografici, ma anche dall’impatto della tecnologia sul mondo del lavoro), rende necessario un cambio di paradigma, che passi anche per “un impegno diretto dello Stato in una dimensione mai sino ad ora sperimentata”.

Nella lettura di Calenda, dunque, la classe politica del Paese, proprio perché uno di quelli fra i più esposti a un potenziale nuovo shock economico, deve ripensare se stessa, nel rapporto con l’idea di Europa ma anche nei modi e nelle forme della partecipazione dei cittadini. La valutazione che dà l’ex ministro dell’attuale situazione è nettissima: l’Italia “è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà”. Dunque, compito dei progressisti è quello di “riorganizzare il campo per far fronte a questa minaccia mortale” e “offrire uno strumento di mobilitazione ai cittadini che non sia solo una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5s”.

La piattaforma programmatica è per ora demandata a una serie di “priorità”:

  • tenere l’Italia nella Ue e nell’euro, con deficit e debito sotto controllo;
  • proseguimento del “piano Minniti” per fermare gli sbarchi;
  • rafforzamento reddito di inclusione e approvazione salario minimo;
  • proseguimento piano impresa 4.0;
  • no fiscal compact in trattati europei, sì ad accordi di libero scambio per il nostro export;
  • piano contro analfabetismo funzionale, tempo pieno in tutte le scuole.

È, per semplificare, la prosecuzione dall'opposizione di ciò che è stato il Governo Gentiloni. La piattaforma ideologica, invece, si svilupperà probabilmente nei prossimi giorni (ci sono solo delle tracce, peraltro tutte all'interno dello stesso "sistema" che Calenda critica nell'apertura della lettera) a partire da una serie di considerazioni messe nero su bianco nel manifesto. L’ex ministro si inserisce nel dibattito sull’Europa, spiegando di ritenere necessario che si lavori al suo rafforzamento nella dimensione esterna, ma al contempo asserendo che “non esistono le condizioni storiche oggi per superare l’idea di nazione, al contrario abbiamo bisogno di un forte senso della patria per stare nel mondo e in UE”. Ritorna poi più volte il concetto di “stato forte ma non invasivo”, che passa anche per una maggiore autonomia delle Regioni (bilanciata dalla “clausola di supremazia dell’interesse nazionale”). Calenda, infine, se la prende con quella classe dirigente che ha “idealizzato il futuro” e soprattutto “esorcizzato le paure degli italiani”, spiegando invece di volerle rappresentare perché esse hanno “diritto di cittadinanza”.

Quindi, cosa vuole fare Calenda?

In queste ore la locuzione che si utilizza per spiegare cosa voglia fare Calenda è “andare oltre il PD”. In concreto, l’ex ministro non ha ancora spiegato cosa intenda, anche perché nel manifesto non è mai menzionato il PD. È chiaro però che il “fronte repubblicano” si inserisca nel dibattito che in queste ore c’è nel PD (cui Calenda è iscritto), anche alla luce della clamorosa batosta alle elezioni amministrative. Come noto, il 7 luglio ci sarà l’Assemblea Nazionale, durante la quale si analizzerà la sconfitta elettorale e si sceglierà il futuro a breve termine del partito. Le opzioni in campo sono essenzialmente due: Martina confermato segretario per gestire la transizione o congresso a ottobre. Tra quelli che spingono per il congresso subito ci sono anche coloro che appartengono al gruppo degli “oltristi”, ovvero coloro che vogliono superare in qualche modo il Partito Democratico, tanto per creare una nuova formazione a sinistra quanto per “rifondare” un partito dei moderati e / o progressisti.

Il progetto cui lavora Calenda è essenzialmente questo: una nuova creatura, che guardi all’area liberale e moderata, e che conservi solo in minima parte il carattere “progressista” proprio del PD delle origini. Serve, dunque, una “mobilitazione nazionale per la nascita di un soggetto nuovo”. Non è un mistero che l’ex ministro guardi ai centristi e a ciò che sta accadendo in Forza Italia, dove non tutti sono disposti a tollerare un lento scivolamento verso le posizioni della Lega salviniana. E non è un mistero che quando parla di “area più larga del PD”, l’ex ministro volga lo sguardo al centro, più che a sinistra. Il modello, per i toni, i modi, le proposte e anche la leadership, resta quello dell’ultimo anno di governo. Gentiloni è infatti per Calenda il punto di riferimento obbligato da cui partire per costruire un soggetto politico completamente alternativo al populismo e al sovranismo: “Lui possiede una reputazione, un'autorevolezza, e uno stile molto diverso da quello di Salvini e Di Maio, uno stile che a mio avviso rassicura il Paese”.

Insomma, superare la crisi della socialdemocrazia europea mettendo in campo un nuovo soggetto, che parta dall'opposizione al populismo e allo "sfascismo", ma anche all'europeismo entusiasta e acritico. Con Gentiloni a guidare la fase costituente e aperto a chiunque si riconosca in una piattaforma liberale e "moderatamente progressista".

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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