Cambia poco, cambia tutto. È questo il bilancio paradossale dell'incontro fra la delegazione del centrosinistra (Enrico Letta e Pier Luigi Bersani) e quella del Movimento 5 Stelle (con Vito Crimi e Roberta Lombardi a guidare un gruppo di parlamentari), giunto come ultimo atto delle consultazioni del Presidente del Consiglio pre-incaricato. Consultazioni che si concludono con un magro bilancio. Da una parte la strada stretta è ormai diventata un vicolo cieco: il Movimento non darà la fiducia e non uscirà dall'Aula del Senato; voterà no, senza alcun margine residuo di trattativa. Dall'altra il viale delle "larghe intese" richiede un pedaggio altissimo: Quirinale, riforme "condizionate" e probabilmente l'ennesimo contraccolpo in termini di consenso all'interno del Paese.
Cambia poco, dicevamo. Perché le posizioni del Movimento erano note da tempo e la "fronda" che aveva consentito l'elezione di Pietro Grasso alla Presidenza del Senato è rientrata di colpo, vuoi per coerenza con il progetto originario (ne abbiamo scritto più volte di quanto l'alleanza con i partiti non sia in alcun modo conciliabile con la "mission" del Movimento), vuoi per la reazione furibonda di Beppe Grillo che, per molto meno, in passato ha adottato provvedimenti "definitivi" sui dissidenti. Ma soprattutto cambia poco perché la certificazione definitiva dell'impossibilità di "fare le riforme sotto le bombe" non era poi così necessaria. E che solo un Governo legittimato in pieno dal voto popolare possa produrre cambiamenti radicali e sostanziali dovrebbe essere considerazione condivisa.
Eppure cambia tutto. Perché le carte sono (quasi) tutte sul tavolo e gli elettori hanno a disposizione gli strumenti per giudicare. E, a questo punto, dovrebbero averne anche la possibilità concreta. Infatti, se Bersani resta fermo sull'indisponibilità ad un Governo di larghe intese e se la prospettiva riformista è definitivamente tramontata, la strada che porta alle urne è l'unica che conservi un minimo di decenza. È chiaro che in gioco vi sono tempi tecnici e la necessità di un breve periodo di transizione (nonché l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica che, legittimamente, intenderà probabilmente verificare se sussistono ulteriori margini per dare governabilità al Paese prima di sciogliere le Camere). Tuttavia, se Bersani non avrà da Napolitano il via libera per presentarsi alle Camere, considerando che siamo a ridosso dell'elezione del nuovo Capo dello Stato, non suona così blasfema l'idea che all'ordinaria amministrazione proceda l'esecutivo dimissionario guidato da Monti. Nel frattempo, il Parlamento potrebbe cominciare a lavorare. Senza guida ed al buio. Ma in queste condizioni è il massimo che ci si possa attendere.