Cos’è stato il Family Day: una piazza contro i diritti degli altri
Al Circo Massimo sono da poco passate le dodici, la gente si muove con fatica tra gruppi con striscioni e passeggini. È tutto pronto per il Family Day, il secondo in poco meno di un anno. Se lo scorso giugno l'obiettivo era battersi contro la teoria del gender, stavolta la guerra è alle unioni civili e al ddl Cirinnà, che da qualche giorno ha iniziato la discussione al Senato. Sul maxi schermo scorrono immagini della manifestazione di sei mesi fa, famiglie tradizionali felici e sorridenti e la scena del film Don Camillo e l'onorevole Peppone ("perché nell'urna Dio vi vede e Stalin no!"). La cifra della giornata è chiara – sono giorni che il Family Day campeggia sulle pagine di tutti i giornali – e lo è ancor di più a sentire l'inno ufficiale, sparato a palla dalle casse prima dell'inizio della manifestazione: "una sola è la famiglia, dentro c'è mamma e papà. Giù le mani dai bambini, l'innocenza non è in vendita". Una strofa della canzone dice "i figli son gigli più bianchi del diritto di vivere sereni con la gioia dell’abbraccio, non c'è contratto scritto o legge che li firmi per questo ora grido di non cedere ai tranelli". Ecco, proprio sulla questione del "tranello", si baserà buona parte delle tre ore seguenti.
Per la piazza il punto è questo: la legge Cirinnà sarebbe solo un primo passo, un cavallo di Troia per inserire nel nostro ordinamento ogni nefandezza possibile, mettendo in pericolo il futuro dei nostri figli. E per questo va combattuta. La questione centrale è la stepchild adoption (prevista all'articolo 5 del testo), l'adozione del figlio del convivente che aprirebbe alla maternità surrogata. Più volte si è cercato di spiegare come nel ddl non ci sia traccia alcuna di questa possibilità – che resta vietata dalla legge 40 – e di come si tratti solo di "normare l'esistente". La piazza, però, di questo pericolo sembra essere certa. Quando chiedo a una signora – a cui mi avvicino cautamente, visto il consiglio di non parlare con la stampa – se tra gli articoli del testo Cirinnà ci sia effettivamente la previsione della gestazione per altri, mi risponde di sì ma che "è nascosta perché non vogliono che la gente se ne accorga. Secondo te i bambini di due uomini da dove vengono? Dai soldi e dall'utero in affitto". Un'altra partecipante mi dice di "aprire gli occhi", fermo restando che "due maschi possono solo comprarselo un figlio, ma non possono avere desiderio di maternità". Sul tema utero in affitto viene anche trasmesso sul maxischermo un video ritraente due uomini che senza pietà passano in rassegna volti di donne su un catalogo per decidere la madre del figlio. La scena segue lo schema secondo cui ci sarebbero orde di coppie gay piene di soldi pronte a sacrificare corpi di donne, per poi strappare i figli dalle braccia e nasconderglieli per sempre. Il video passa poi a un paese sottosviluppato, mostrando le sofferenze di una donatrice. A conclusione del filmato gli organizzatori si scusano per le immagini forti "che hanno lasciato la piazza ammutolita", ma questo è quello che viene legalizzato con il testo in discussione al Senato.
Ma non c'è solo la stepchild adoption nel mirino dei manifestanti: sono proprio le unioni tra persone dello stesso sesso a non andare bene, specialmente se diventano matrimoni. Cosa che in realtà non è neanche prevista dal Cirinnà che, per dirla tutta, è un disegno piuttosto timido e meno apocalittico di quanto si faccia credere. Nel suo intervento Massimo Gandolfini, neurochirurgo bresciano, organizzatore del raduno e presidente del comitato Difendiamo i nostri figli, dice che quella del Circo Massimo è "una piazza che non vuole fare la guerra a nessuno, una piazza contro nessun tipo di persona". Frasi simili verranno ripetute varie volte durante il pomeriggio. Eppure tutte le tre ore della giornata romana della famiglia si snoderanno attorno alla dicotomia noi/loro, giusto/sbagliato. E soprattutto: salvezza/pericolo.
Tra cori "No Cirinnà" e la canzone Mamma, solo per te la mia canzone vola cantata da un tenore insieme alla piazza che sventola cartelli che in maniera eloquente dicono che le unioni tra persone dello stesso sesso sono sbagliate "anche se dovessero diventare legge", si alternano gli interventi sul palco. Durante i suoi dieci minuti, Mario Adinolfi cita un grosso striscione, dove campeggia un hashtag: "#Renziciricorderemo" e riporta alla mente il fatto che nel 2007 il presidente del Consiglio era in piazza contro i Dico. "Renzi ci ricorderemo" è un avvertimento per le prossime elezioni amministrative e per il referendum. Gli organizzatori sanno bene la debolezza della politica nel difendere la legge.
La piazza concorda sul fatto che il ddl Cirinnà contenga un grosso inganno: presentata come una legge per garantire i diritti civili degli omosessuali, in realtà nasconde interessi economici e depravazioni. Secondo il presidente di ProVita, Toni Brandi, "i matrimoni gay sono la priorità del mondo occidentale perché ci sono dietro le industrie dell'utero in affitto e del cambiamento di sesso". Chi ci guadagna, dice, "sono le industrie farmaceutiche, del porno e del condom" e "qualsiasi piccolo disegno di legge sulle unioni civili è un piccolo passo verso le adozioni gay". Per questo bisogna mandare un messaggio all'Europa: "No alla legge Cirinnà senza se e senza ma, no alle unioni civili per il diritto dei bambini".
L'Italia è rimasta l'unico paese dell'Europa occidentale a non avere una legge che regoli le unioni dello stesso sesso. Un ritardo che, secondo Gandolfini, non ci rende affatto "fanalino di coda" – come ha detto recentemente Renzi – ma "il faro che sta indicando la civiltà in Europa, perché non è un progresso civile programmare la nascita di un bambino orfano". Tra l'altro questo è anche il momento in cui l'intervento si trasforma in omelia: "Il sesso non è il piacere sessuale è la procreazione, la trasmissione della vita, una creatura nuova". Gandolfini poi si rivolge all'iter parlamentare del Cirinnà, dicendo che "i prossimi passaggi della legge li seguiremo minuto per minuto". Il disegno va respinto in toto: "Se si accetta una legge per la quale le unioni civili sono omologate a una famiglia fondata sul matrimonio, si fa un'enorme confusione per cui non esisterà più la famiglia, ma modelli variabili e confusi di famiglia. E le vittime saranno i nostri figli, perché la legge ha la potenza di cambiare la cultura di un popolo. Bisogna stare molto attenti quando si approvano leggi distruttive". La manifestazione si chiude sulle note di "Nessun dorma", con la gente che canta "vincerò".
Gli organizzatori hanno parlato di due milioni di persone presenti al Family Day. Sui numeri si è creata una sorta di guerra – matematicamente non è possibile che il Circo Massimo contenga tutte quelle persone e non era neanche completamente pieno – che sta quasi monopolizzando il dibattito all'indomani della manifestazione, tra misurazioni, metri quadrati e centimetri. Stando a quello che ho visto, l'argomento "erano meno di due milioni" per screditare il raduno regge poco e niente e manca il punto. Le persone arrivate ieri non erano affatto poche – anche se non certo quanto è stato detto – e molte venute anche da lontano. E non vale neanche citare l'ipocrisia di qualche organizzatore divorziato o adultero.
Durante il suo intervento, Adinolfi – e non solo lui – si è concentrato sul fatto che "con una piazza così" la politica dovrà ripensarci per forza. È un argomento comune e un fondo di verità ce l'ha. I primi voti sul Cirinnà – dopo un iter quasi impossibile – erano previsti per la settimana appena passata, ma sono slittati a dopo il Family Day. Un manifestante che incontro al termine della manifestazione mi dice che "questa legge sbagliata ce la vogliono imporre", ma che evidentemente non sono certi e sicuri neanche al governo, "sennò sarebbe già passata". Un'affermazione a cui non riesco a dare torto.
Di certo c'è che in un climax di propaganda e paranoia che un qualche futuro sia in pericolo, ieri è andata in scena semplicemente una cosa: una piazza contro i diritti di qualcun altro.