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Corte Suprema dà ragione a Donald Trump su limitazione ingressi dei musulmani negli USA

Le limitazioni dei visti per i cittadini di cinque paesi a maggioranza musulmana resteranno in vigore. Questa la decisione a maggioranza della Corte suprema su uno dei provvedimenti simbolo dell’amministrazione di Donald Trump. Per i giudici la misura rientra nei poteri del presidente e non discrimina i musulmani.
A cura di Giorgio Tabani
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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato ragione al presidente Donald Trump sul cosiddetto “travel ban” con 5 voti a favore e 4 contrari. Il ricorso riguardava la terza e ultima versione della misura, la Presidenzial proclamation 9645 del 24 settembre 2017, che limita fortemente la concessione di visti d'ingresso per gli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi: Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen, a maggioranza musulmana, più Corea del Nord e Venezuela (il Ciad è stato eliminato dalla lista ad aprile). La Corte ha confermato che il provvedimento sia motivato da ragioni di sicurezza, come sostenuto dall'amministrazione Trump, rigettando l'accusa che discrimini i musulmani (per questo era stato ribattezzato "Muslim ban"). Per il presidente della Corte Suprema John Roberts, che ha scritto materialmente la sentenza: "Il testo non dice nulla sulla religione" e peraltro "la popolazione dei paesi in questione non è che l'8% del totale dei musulmani nel mondo"; inoltre la decisione "rientra pienamente nei poteri dell'autorità presidenziale" che secondo la legge federale può porre limitazioni all'ingresso nel Paese in caso di pericolo per gli interessi degli Stati Uniti.

La Corte Suprema ha una maggioranza conservatrice dopo che Trump è riuscito a nominare il 31 gennaio 2017 Neil Gorsuch come nono giudice, al termine di una vacanza di 14 mesi in cui la maggioranza repubblicana al Congresso ha impedito all'ex presidente Barack Obama di scegliere un democratico. La storia della misura anti-immigrazione di Trump, presa poco tempo dopo il suo insediamento, è stata lunga e travagliata, fra manifestazioni di protesa, continui ricorsi e sospensioni da parte dei tribunali e le modifiche approvate dall'amministrazione per superarne le criticità: la prima versione è l'Ordine esecutivo 13769 del 27 gennaio 2017, a cui fa seguito la versione intermedia – l'ordine esecutivo 13780 – del 6 marzo 2017. La parte relativa ai paesi a maggioranza musulmana dell'ultima versione è stata contestata in tribunale dallo stato delle Hawaii, da alcuni cittadini privati e da un gruppo religioso musulmano. La decisione della Corte Suprema mette la parola fine alla contesa, ribaltando le decisioni prese da un tribunale federale e poi dalla corte d’appello di San Francisco, per la quale Trump aveva abusato dei suoi poteri.

Neil Katyal, avvocato dei ricorrenti, si è dichiarato deluso dal risultato ma "ora il Congresso deve fare il suo lavoro e ribaltare la decisione unilaterale e incauta del presidente Trump". Per sostenere la tesi discriminatoria Katyal aveva citato nella sua requisitoria i tweet di Trump che lasciavano trasparire una certa ostilità verso i musulmani. Per la Corte però non si tratta "di condannare quelle dichiarazioni", in quanto ciò che conta "è la neutralità della direttiva, presa sulla base dei poteri che spettano all'esecutivo".

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