Storia di un “normale” e noiosissimo lunedì sui mercati finanziari mondiali, che da un lato vorrebbero festeggiare l’avvenuto varo delle misure di austerity in Grecia (promesse fin dallo scorso ottobre ma approvate solo ieri sera), dall’altra non sanno se fidarsi completamente di Atene anche in previsione di provabilissimi “remake” di quanto già visto nei mesi scorsi, ossia di punzecchiature tedesche, scetticismo delle agenzie di rating, ulteriori tira e molla tra il Tesoro greco e i bondholder privati sull’accordo per lo swap tra vecchi e nuovi titoli di stato e il prevedibile contorno di dichiarazioni “a perdere” da parte della moltitudine di personaggi che a torto o a ragione hanno parlato (e sparlato) in questi mesi, dalla Cina agli Stati Uniti passando naturalmente per una pletora di authority europee.
Così la domanda che più spesso mi sento rivolgere resta sempre e soltanto una: “Non è che corriamo il rischio di finire come la Grecia?”. Ebbene no, l’Italia non corre il rischio di finire come Atene per vari motivi, alcuni “virtuosi” altri molto più pragmatici ma non meno validi agli occhi dei mercati finanziari di tutto il mondo. Primo e più robusto motivo di tutti: l’Italia non può finire come la Grecia perché (per fortuna) persino quelle poche riforme strutturali e quelle pochissime liberalizzazioni pongono il Belpaese saldamente nel novero dei paesi europei, cosa che Atene a dispetto delle apparenze ancora non è. Infatti le famose misure “lacrime e sangue” che con così tanta fatica il parlamento greco dovrebbe aver approvato definitivamente (salvo eventuali nuovi colpi di scena dopo le prossime elezioni politiche anticipate ad aprile) consistono in: una deregolamentazione del mercato del lavoro in linea con quanto già avvenuto in tutta Europa (Italia compresa) da quasi un decennio ma ancora non in Grecia; il varo di privatizzazioni (che in Italia sono avvenute a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta) il cui controvalore è stato “realisticamente” tagliato da una prima previsione di 50 miliardi di euro entro il 2015 a soli 19 miliardi; in una riforma delle pensioni nel senso di introdurre il sistema contributivo come nel resto d’Europa (e in Italia sin dalla Riforma Dini del 1995); in un taglio del 20% del salario minimo garantito; in una riduzione entro il 2015 di 150 mila unità dei dipendenti pubblici (verosimilmente in gran parte attraverso blocco del turn over e prepensionamenti, come già accaduto in questi anni in Italia).
Se si esclude forse l’abbattimento del salario minimo tutte le altre misure “draconiane” sono state varate dall’Italia e dal resto d’Europa da anni (e certamente avrebbero prodotto minori tensioni anche in Grecia se anziché essere adottate obtorto collo ora con effetto fortemente pro-ciclico, dunque recessivo, fossero state gradualmente introdotte in anni di espansione economica); per inciso nell'ultimo decennio i salari in Germania sono cresciuti ad un tasso pari a circa la metà che in Spagna e Italia mentre in Grecia sono raddoppiati, crescendo dunque a una velocità tripla rispetto a quella del Belpaese. Secondo e meno virtuoso motivo, vale la pena di ricordare sempre che se la Grecia ha tenuto col fiato sospeso i mercati con “appena” 440 miliardi di euro di debito pubblico “a rischio” (di finire come nel caso dell’Argentina nel caso di un default “disordinato”), l’Italia ha un debito pubblico di quasi 2 mila miliardi di euro ampiamente distribuito tra i grandi investitori internazionali dagli Stati Uniti al Giappone e dunque se far fallire la Grecia è un’ipotesi da cercare di evitare ad ogni costo, far fallire l’Italia equivarrebbe unicamente ad un suicidio economico e politico che dunque non conviene a nessuno.
Per questi motivi dunque l’Italia non può fare la fine della Grecia, ma in cambio dei suoi “sacrifici” la Grecia che ottiene? Un taglio di oltre 100 miliardi di euro del debito finora sottoscritto da investitori privati internazionali (che si vedranno decurtare del 70% il valore dei titoli detenuti al termine dello swap con nuove emissioni a lungo termine che renderanno attorno al 3,5%-3,6% annuo fisso per 10 o 30 anni), uno sconto di alcuni altri miliardi da parte di investitori istituzionali come la Bce e il Fmi (che sostanzialmente hanno già fatto capire di essere disposti a vedersi rimborsare i titoli acquistati sul mercato al prezzo di acquisto, inferiore al nominale), un rifinanziamento degli aiuti internazionali per 130-135 miliardi di euro da parte dell’Unione europea che in sostanza acquisterebbe in cambio titoli di stato di Atene tuttora senza alcun reale mercato al di là di qualche emissione a breve termine che per importi modestissimi è stata collocata in queste settimane a tassi non stratosferici sul mercato (peraltro sempre grazie all’attenta vigilanza della Bce). Anche qui vale la pena di fare una postilla e notare che la Grecia a differenza dell'Italia è alquanto distante da una situazione di avanzo primario (che le misure di austerity peraltro proprio perchè procicliche allontanano ulteriormente di qualche anno) e dunque non può sperare di "dimenticarsi" di pagare i debiti e voltare pagina perchè il giorno dopo non troverebbe più nessun investitore disposto a farle credito e darle quei capitali di cui ha bisogno per continuare a mandare avanti la propria economia e il proprio welfare.
Qualcuno fa notare, a ragione, che non si può tuttavia leggere questa vicenda solo con gli occhiali della “morale” e tentare di semplificare l’equazione Greci = cattivi, Europei = buoni come si faceva una volta coi film di indiani e cowboy e infatti sembra che Francia e Germania, così attente a bacchettare a tutto spiano Atene (e in generale i “lazzaroni” del Sud Europa, Italia compresa), non solo non abbiano storto il naso ma anzi abbiano preteso ulteriori “spese folli” da parte della Grecia per quanto riguarda il settore degli armamenti, perché si trattava di contratti sottoscritti a suo tempo con aziende tedesche e francesi e nonostante il tentativo di Atene di annullare l’ordine alla fine 2 sottomarini e 233 carri armati dalla Germania oltre a 6 fregate, 15 elicotteri e una manciata di motovedette dalla Francia verranno consegnate per complessivi 6,1 miliardi di euro. Soldi che forse si sarebbero potuti evitare di spendere, come probabilmente si sarebbe potuto evitare di fare tante altre spese (in tutti i paesi del Sud Europa) di cui hanno beneficiato Germania, Francia e gli altri paesi “virtuosi” del Nord Europa negli ultimi 15 anni almeno.
Dunque in questa vicenda che ormai non mi appassiona più in alcun modo non ci sono sconvolgenti novità o verità rilevate, ma la semplice, banale, quasi ossessiva ripetizione di errori, compromessi e intrallazzi che hanno riempito le pagine dei giornali di mezza Europa per non dire di mezzo mondo da decenni. E' il caso di dire: speriamo almeno che questa volta la lezione serva. Cosa di cui peraltro ho ancora molti dubbi (per la Grecia come per l'Italia).