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Il Paese in cui conta solo il conto in banca

Anni a ragionare su ciò che ci differenzia per tornare al punto di partenza: è il denaro l’unica cosa che conta. L’unica barriera ancora in piedi.
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Abbiamo passato decenni a creare griglie di interpretazione del reale per vederle tutte sfumare nel (presunto) postmodernismo. Abbiamo creato steccati, innalzato barriere per differenziarci gli uni dagli altri, per vederle sfaldarsi col passare del tempo. Abbiamo ideologizzato questioni banali (l'orientamento sessuale, il tifo calcistico, la moda) per cercare disperatamente qualcosa che ci distinguesse. Abbiamo rifiutato la deriva omogeneizzante della modernità che ha frullato razza, religione, sesso fino a renderci simili, vicini ma al contempo nemici l'un contro l'altro armati. Abbiamo perso, per fortuna. Le barriere sono cadute o stanno per farlo. Tutte, tranne una: quella reddituale. Il denaro, la ricchezza monetaria individuale è l'ultimo (insuperabile) steccato. Ed è quanto di più drammatico, proprio perché inevitabile, potesse succederci. È il denaro a produrre distanze, a scavare solchi; è la distanza reddituale ad influenzare scelte, comportamenti, visioni del mondo. E, in un contesto o nell'altro, è la ricchezza l'unica coordinata con la quale leggiamo le esistenze individuali e subordiniamo, in un modo o nell'altro, il giudizio di merito, la distanza fra il bene ed il male. Non vi ammorberò con dati e grafici sulla forbice reddituale, sulla mobilità sociale, sull'insicurezza percepita, sul gap generazionale. Anche perché c'è davvero poco da dire, da analizzare, in un contesto che per giunta ci costringe a continue "distrazioni", all'indignazione a comando, alla mobilitazione "a tempo determinato".

Certo, ci resta una cosa cui aggrapparci e su cui basare le nostre esistenze: la speranza. Ma proprio quella del mito di Pandora, "un male che sembra tuttavia buono, perché la speranza induce sempre ad attendere qualcosa di meglio". Ecco, appunto. Sperare in un (piccolo) miglioramento, da leggere ovviamente secondo le stesse coordinate. Morfina per l'anima, metadone per tossici insoddisfatti e smaniosi, che si accontentano di un passo avanti, di un gradino in più, di uno scatto tanto velleitario quanto ambito. Individui ai quali basta un nemico, un'idea, una ragione, per accantonare la vera discussione. Quella sul Sistema, sull'insieme di relazioni che determina il qui ed ora.

Scriveva Slavoy Zizek qualche tempo fa: "Non ha senso l'approccio per cui abbiamo due estremi e dobbiamo trovare un equilibrio. Possiamo, per esempio, dire che alcuni paesi non hanno democrazia e altri ne hanno troppa e si può sempre sostenere che abbiamo bisogno di un equilibrio. Ma la rivoluzione reale consiste nel cambiare l'equilibrio stesso: la misura della bilancia". Del resto, come scriveva Ferraris, "il mondo ha le sue leggi e le fa rispettare" e non c'è motivo di dubitare che ogni mutamento superficiale, ogni cambiamento interno ad una struttura "chiusa" porti semplicemente ad una nuova fase di riassetto, con il sistema capace di ritrovare un nuovo equilibrio. Leggere Zizek è illuminante in tal senso: "Per me riforma significa cambiamenti all'interno dell'ordine esistente: si può dire che adesso abbiamo troppo individualismo, quindi necessitiamo di maggiore responsabilità sociale. Però ciò sta all'interno del campo; al contrario rivoluzione è laddove a cambiare sono le regole su cui si fonda la società". Fintanto che ci si muove in queste coordinate, fino a che si tratta solo di posizionarsi entro due estremi, finanche il "get rich or die tryin'" è eticamente accettabile. Almeno fino a che continueremo a ritenere accettabile l'idea che "siamo responsabili solo del modo in cui compiamo il nostro dovere e del modo in cui lavoriamo per il bene". Cambierebbe tutto se fossimo responsabilizzati anche nel decidere cos'è il bene.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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