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Confindustria scarica i costi della crisi sui lavoratori

Il numero uno di Confindustria, Squinzi, preme per ottenere una riduzione del costo del lavoro. Ma in assenza di un calo del peso fiscale questo vuol dire solo una cosa: calerà il reddito disponibile e quindi la domanda interna.
A cura di Luca Spoldi
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Giorgio Squinzi, Confindustria

La luce in fondo al tunnel la vede, in Italia, soltanto Mario Monti. Molto meno ottimista appare il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ha ammesso oggi di non vederla affatto per il 2013 “salvo un miglioramento a fine anno”. La ripresa, quella vera, ha aggiunto Squinzi, non arriverà tanto presto ed anzi è pronto a  “mettere la firma per il 2015” a patto che ci si metta tutti a “lavorare duro come Paese, nel senso che dovremmo mettere mano a tutte le riforme che da tempo auspichiamo”. Ma qui casca l’asino: uno si aspetterebbe che il leader degli industriali italiani chieda a gran voce al governo di procedere senza indugi verso quelle liberalizzazioni rimaste finora nel libro delle buone intenzioni, di varare un decreto anticorruzione di cui si sente il bisogno come il pane in un paese dove il 12% degli italiani (contro l’8% in media dei cittadini europei) si è trovato di fronte a richieste di “mazzette” per qualche pratica e dove si stima che di il fenomeno “bruci” 10 miliardi di euro l’anno.

Miliardi che si sommano ai 150-180 miliardi di euro di tasse evase ogni anno, pagando le quali si potrebbe sperare di veder ridurre un’oppressione fiscale che le anime candide che in queste ore vanno giulivamente raccogliendo firme in Parlamento per introdurre una “Tobin Tax” italiana che “punisca” (sigh) la “speculazione” finanziaria (senza capire che sarà solo l’ennesimo costo che graverà sulle già tartassate spalle dei piccoli risparmiatori italiani, non certo su chi “specula” sì, ma perché i capitali ha già provveduto da tempo a portarli all’estero al riparo dall’indiscreto occhio del fisco tricolore, non certo perché ha qualche quota di fondo comune o finanche titoli di stato nel proprio portafoglio d’investimento). Ma dei quali Squinzi non parla, come non parla della opportunità che le banche incrementino sì l’efficienza ma senza farla pesare sui conti della clientela con spread, assicurazioni, conti escrow e chi più ne ha più ne metta.

Purtroppo siamo in Italia e l’aria che tira non è affatto positiva: Squinzi pensa che la competitività delle aziende italiane (tema sacrosanto, sia ben chiaro) possa essere recuperata agendo sul costo del lavoro, in particolare aumentando le ore di lavoro a parità di retribuzioni (o se volete riducendo le retribuzioni a parità di ore di lavoro) e forse non ha neppure tutti i torti guardando a recenti dati di Jp Morgan da cui si evince come sia proprio l’Italia l’unico dei PIIGS europei ad aver visto sia pure leggermente crescere le retribuzioni lorde dal 2008 ad oggi, mentre le stesse sono ampiamente calate in Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Ma, e qui casca il secondo asino (mi scusino gli amici di questo simpatico quadrupede), il problema italiano è anche in questo caso rappresentato da un cuneo fiscale che non ha paragoni al mondo, mentre le retribuzioni “nette” sembrano secondo tutte le più recenti analisi già in media quando non inferiori a quanto viene erogato, a parità di mansione e competenza, non solo in Inghilterra, Francia o Germania, ma anche negli altri paesi del Sud Europa.

Così, una classe politica imbelle e corrotta si guarda bene dall’avviare una seria azione di pulizia al suo interno e teme come i barbari alle porte gruppi di opinione come il Movimento 5 Stelle (che pure non brilla per esaustività né per competenza nell’affrontare e risolvere i problemi economici e sociali del Paese, a giudicare dalla proposta politica finora emersa) e in parallelo una classe imprenditoriale abituata ai salotti buoni, alle relazioni e alla tutela di interessi particolari più che a strategie e visioni “di sistema”, stanno seriamente pensando di far pagare ancora una volta “Pantalone”, sia esso rappresentato da milioni di lavoratori (sempre meno: a fine agosto erano 22,934 milioni, 75 mila in meno rispetto a un mese prima, con un tasso di occupazione pari al 56,9%, in calo 0,2 punti percentuali sia su base mensile sia rispetto all’agosto 2012) sia da contribuenti da tosare come pecore in nome del “rigore” che tanto piace ai nostri partner europei, Germania in testa.

Tutto questo si paga e si pagherà ancora a lungo con una marcata riduzione del potere d’acquisto (che è già in calo da alcuni anni) e, in assenza di un nuovo allargamento del credito o di una riduzione del carico fiscale, con una progressiva contrazione della domanda interna, il cui calo già spiega gran parte del miglioramento della bilancia commerciale italiana (anche se qualcuno continua a raccontarvi che il saldo netto sta migliorando grazie alla ritrovata verve del Made in Italy sui mercati esteri, scordandosi di dire che invece anche le esportazioni stanno frenando, sia pure meno che le importazioni). Insomma: siamo ancora in mezzo al tunnel e le luci, se se ne vedono, sono solo quelle di servizio, non quelle a fine galleria. Per di più il conducente del pulman su cui tutti ci troviamo pare intenzionato a rallentare perché non si sa mai, meglio essere prudenti ed evitare possibili incidenti. Di questo passo, virtuosamente, avremo una sola certezza: che nel lungo periodo saremo tutti morti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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