Proviamo a fare un gioco: immaginiamo di essere a digiuno di cronaca politica e di non guardare i sondaggi, e apriamo semplicemente i social network e i siti dei giornali. Da osservatori esterni e senza pregiudizi non faremmo fatica a notare come l’approccio all’agenda politica di Salvini e Di Maio sia sostanzialmente opposto: il primo riesce sempre e costantemente a dettarla, anche facendo ricorso ai trial balloons mutuati da Trump, il secondo spesso la subisce e arriva con più difficoltà a una posizione chiara, coerente e condivisa dagli altri esponenti del suo partito. Non è solo una questione comunicativa, ma di scelta delle questioni da affrontare, temi su cui spingere sull'acceleratore e argomenti da evitare. Prendiamo solo gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Mentre i Cinque Stelle sono impantanati nelle complessità della legge di bilancio e si accollano la responsabilità di una trattativa con l’Europa complessa e dolorosa, la Lega si prepara a una manifestazione per celebrare il decreto sicurezza e i “successi” nel contrasto all’immigrazione. Mentre Di Maio è impantanato sulla questione “lavoro nero – Le Iene”, chiede al padre di metterci la faccia e si cosparge il capo di cenere, Salvini glissa amabilmente sulle sue responsabilità nella questione dei 49 milioni di euro non restituiti dalla Lega. Mentre i 5 Stelle collezionano gaffe a ripetizione per la smania di confermare che il reddito di cittadinanza si farà, Salvini si limita a ribadire il solito ritornello sulla revisione della Fornero che non si tocca e partirà "senza dubbio". Mentre Di Maio è quasi costretto a difendere pubblicamente il ministro dell'Economia Giovanni Tria, Salvini butta lì un "rivedere il contratto di governo" che è ben più di un avvertimento, a Tria, a Conte e allo stesso Di Maio.
Di esempi potremmo farne altri, ma non cambierebbe il dato di fondo: i 5 Stelle stanno pensando al futuro di questo governo, Salvini sta lavorando alla sua idea di Paese. I 5 Stelle non hanno alternativa all'abbraccio con la Lega, i leghisti sanno che in caso di ritorno al voto avrebbero una coalizione bella pronta, degli alleati senza pretese e la concreta possibilità di portare il loro leader a Palazzo Chigi. È una differenza sostanziale, che condiziona l’azione politica ben oltre i singoli provvedimenti discussi e approvati di volta in volta. Tutto ruota intorno al modo in cui i due leader stanno interpretando l’accordo su cui si regge il Governo guidato da Giuseppe Conte. Di Maio è quello disposto a cedere sul piano “ideologico” per portare a casa misure concrete, Salvini quello disposto a concedere qualcosa ai 5 Stelle pur di continuare a determinare l'orientamento del Governo e a costruire, mattone su mattone, il suo progetto politico. Il ministro dell'Interno è un populista che ha riportato all’originario campo della destra populista ed euroscettica quello che era diventato un partito tradizionale: la Lega è ora Salvini, anche grazie a una continua e costante sovrapposizione della sua figura a quella del partito, dei suoi profili social ai canali ufficiali (e ormai anche istituzionali, come dimostra la polemica con il procuratore Spataro), dei suoi interventi estemporanei e di pancia alla linea del Carroccio.
Tanto si è scritto in questi ultimi mesi della comunicazione di Salvini, poco forse sugli effetti che ha avuto e sta avendo sull’opinione pubblica, pochissimo su quanto sia del tutto coerente con i provvedimenti sostenuti e promossi dalla Lega in questi primi mesi di governo. Quella che Salvini sta scrivendo è una pagina dell’autobiografia della nostra nazione che ha due concetti cardine: vittimismo / sindrome da accerchiamento e deresponsabilizzazione. Lo spontaneismo, l’autenticità e la schiettezza come valori assoluti, il fastidio nei confronti di esperti, tecnici e professoroni, il giustizialismo aggressivo e manicheo, la subordinazione delle libertà individuali a concetti come sicurezza e decoro, la ferocia verbale nei confronti dei migranti accompagnata da una retorica spicciola sulle situazioni a forte impatto emozionale, la rivendicazione della purezza del popolo, il prima gli italiani come pratica concreta e non solo formula vuota, la riduzione della complessità in favore di una malintesa concezione di buonsenso: sono tutte componenti di una nuova ideologia aggressiva ed escludente che Salvini ha imposto all’opinione pubblica, trovando solo una debolissima opposizione nell'opposizione parlamentare (ma ostacoli più grandi dalla mobilitazione spontanea di decine di migliaia di cittadini).
Non c’è solo il dato politico chiaro, netto: ovvero il completamento del processo di lepenizzazione della Lega, con la trasformazione in forza nazionalista e sovranista, egemone a destra grazie alla capacità di attrarre tanto i voti dei moderati in uscita da FI tanto quelli della rapida "radicalizzazione populista" di centinaia di migliaia di cittadini. C’è anche la capacità di offrire una piattaforma politico – ideologica a un'opinione pubblica, che ormai ragiona, agisce e si mobilita intorno alle parole d’ordine del ministro dell’Interno. Nell'epoca in cui sembra essersi pienamente compiuto il processo di destrutturazione culturale, politica e sociale degli individui, Salvini riesce a offrire una via d’uscita, un porto sicuro a centinaia di migliaia di persone disorientate, incazzate e impaurite. Come provavamo a spiegare qui, il ministro dell’Interno e la sua macchina della propaganda sono riusciti (più o meno consapevolmente) a creare una comunità su misura per i "nuovi radicalizzati”, per coloro che si sentono esclusi e ai margini dei processi decisionali, che non riescono a trovare un posto nella società, che non hanno gli strumenti per collocare la propria esistenza e per determinarla, che non riescono più a pensare in termini di appartenenza. Non sono solo gli italiani poveri, disoccupati o sottopagati a sposare la rabbia e l’indignazione qualunquista di Salvini, ma tutti coloro che “hanno paura”, che vedono la loro posizione minacciata, che valutano lo scarto tra le loro ambizioni e la realtà come un sopruso, che si sentono vittime della società.
L'azione di Salvini da ministro dell'Interno, da vicepresidente del Consiglio e da senatore non va nella direzione del "rassicurare" gli italiani. Al contrario, il leghista alimenta insicurezza e precarietà, affiancando a ogni provvedimento, approvato o anche semplicemente impostato, una lettura esasperata ed estremizzata della realtà fattuale. Il decreto sicurezza è necessario perché il Paese è un far west. Le norme in materia di immigrazione servono perché ci sono decine di migliaia di migranti che rubano risorse e futuro agli italiani. La legge sulla legittima difesa è importante perché i cittadini possano difendersi da soli dai pericoli. Le telecamere nelle scuole servono perché le maestre picchiano i bambini. L'operazione spiagge sicure è fondamentale perché sulle spiagge è a rischio la tranquillità degli italiani che si spaccano la schiena tutto l'anno per fare 15 giorni di mare. L'accoglienza va tagliata perché non ci sono soldi per tutti. La cannabis non va legalizzata perché i nostri figli dallo spinello passano all'eroina.
È il Paese dei muri, non quello dei ponti e dei porti, che ha in testa Salvini. E, a proposito, ricordate il gioco di prima? Ecco, ora i sondaggi guardateli pure.