Nuovo taglio dei tassi ufficiali, il sesto in meno di 12 mesi, da parte della Banca del Popolo Cinese e a Piazza Affari, oltre che sulle principali borse mondiali, tornano a correre titoli del lusso e dell’high-tech mondiale come Lvmh (il colosso francese del lusso), Alphabet (la nuova denominazione adottata dalla holding che controlla il motore di ricerca Google) o Microsoft.
Sul listino di Milano in particolare si mettono in luce nomi come Salvatore Ferragamo (che in Asia fattura circa un terzo delle proprie vendite, di cui un 16%, nel 2014, nella sola Cina), Moncler (nel primo semestre di quest’anno l’area “Asia e resto del mondo” ha rappresentato il 34,7% del giro d’affari) e Tod’s (che nell’ultima semestrale vedeva l’area “greater China”, che comprende anche Hong Kong, Macao e Taiwan, pesare il 22,9% dei ricavi, di cui un 14% dovrebbe riguardare lo sola Cina).
In un’economia sempre più globale il rialzo o taglio di tassi all’altro capo del mondo, per evitare future fiammate inflazionistiche o piuttosto per sostenere una crescita troppo debole sia dei prezzi sia dell’occupazione, condizionano pesantemente le prospettiva di aziende e gruppi finanziari europei e tricolori e determinare riflessi sia in termini di produzione sia di occupazione.
Non possono invece condizionare direttamente i tassi, peraltro, perché quelli sono attentamente sorvegliati da Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea ed ex governatore di Banca d’Italia che proprio ieri ha fatto capire, sorprendendo analisti e operatori, che la Bce è pronta non solo ad estendere di sei mesi il suo programma di “quantitative easing” col quale Draghi sta comprando titoli di stato e obbligazioni sul mercato al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, tenendo al tempo stesso bassi i tassi sulle nuove emissioni sia rifornendo di liquidità le banche, ma anche che potrebbero essere nuovamente limati i tassi ufficiali.
A muoversi sarebbero nel caso europeo solo i tassi sui depositi che le banche mantengono presso la Bce e che già sono negativi (pari a -0,20%), mentre nel caso cinese sono stati ridotti sia il tasso d’interesse sui prestiti a un anno, tagliato dal 4,6% al 4,35%, sia il tasso sui depositi (ridotto dall’1,75% all’1,50%). Questo perché i problemi che utilizzando simili leve strategiche intendono affrontare le due banche centrali sono alquanto diversi.
Pechino vuole a tutti i costi centrare l’obiettivo “programmatico” di un Pil in crescita almeno del 7% (mentre nel terzo trimestre dell’anno la crescita è rallentata al 6,9%), Bruxelles deve riuscire a far affluire la copiosa liquidità finora iniettata nelle casse delle banche all’economia reale. Per riuscirvi Draghi dovrà convincere le banche a fare ulteriori pulizie di bilancio, visto che nelle sole banche italiane si annidano ancora 198 miliardi di sofferenze lorde (e 85,9 miliardi di sofferenze nette ossia ancora prive di accantonamento di fondi per coprirne il rischio).
Estendere il quantitative easing è un modo per prendere tempo e dare al tempo stesso alle banche l’opportunità di vendere, a prezzi in crescita, parte dei bond che possiedono, mentre tagliare i tassi sui depositi, senza peraltro portare in negativo anche il vero e proprio costo del denaro (che è comunque già virtualmente pari a zero), è un modo per incoraggiare sia le banche a prestare soldi all’economia reale sia gli investitori ad accettare strutturalmente un maggior grado di rischio sui propri investimenti.
Il che spiega, tra l'altro, perché oggi a correre in borsa siano stati anche i titoli del risparmio gestito come Azimut, Mediolanum, Anima Holding, Fineco Bank e Banca Generali, che potranno trarre vantaggio dal graduale spostamento della clientela da titoli e fondi obbligazionari a prodotti a maggiore rischio (e maggiore redditività per i distributori).
Ultimo ma non meno interessante sottoprodotto di questa “economia programmata” a livello mondiale dalle banche centrali attraverso il movimento dei tassi (e dei cambi, di conseguenza), sembra essere la continua crescita degli investimenti di venture capital e, almeno in parte, in nuove startup. Secondo un report targato KPMG International e CB Insights, ad esempio, nel terzo trimestre dell’anno in tutto il mondo sono state finanziate 1.799 operazioni di venture capital per complessivi 37,6 miliardi di dollari.
Se negli Usa ad essere finanziate sono aziende sempre più “mature” e di grandi dimensioni, in Europa, dove per il terzo trimestre consecutivo gli investimenti hanno superato i 3 miliardi di euro (ossia i 3,5 miliardi di dollari) sembra esservi ancora molto spazio per gli investimenti “early stage” (ossia nelle prime fasi di vita di una startup), ormai sopra al 40% del totale dei finanziamenti erogati.
Dove sta la fregatura in questo quadretto idilliaco? Che il mercato del lavoro, soprattutto nei paesi del Sud Europa, fatica a migliorare (anche se in Spagna è sceso al minimo degli ultimi quattro anni, risultando pari al 21,2% nel secondo trimestre, comunque ancora il più elevato in Europa dopo il dato greco), segno che non è solo un problema di accesso ai capitali ma, ancora una volta, di difficoltà a trasformare società ancorate a modelli economici e sociali che, semplicemente, non sono più in grado di sostenersi perché nel frattempo sono cambiate le condizioni economiche e demografiche rispetto a quando vennero concepiti.
Prendere tempo e tenere i tassi bassi è come mantenere in coma farmacologico un paziente che abbia subito un trauma profondo, per dare modo al suo fisico di recuperare, sperando che non intervengano complicazioni. Continuiamo a incrociare le dita.