Claudia, la popstar dei narcos messicani
All’inizio di giugno le testate online hanno puntato l’attenzione sulla “bella e giovane” Claudia Ochoa Félix, individuata come la nuova “Emperatriz de los Antrax”, uno dei bracci armati più violenti del Cartello di Sinaloa.
La sua ascensione al soglio “imperiale” è stata decretata dall’arresto dell’amante José Rodrigo Aréchiga Gamboa, detto “El Chino Antrax” (molto probabilmente per i tratti orientali del suo volto), catturato in Olanda dall’Interpol. Il narco aveva commesso l’errore di postare (con tanto di geolocalizzazione) alcuni selfie su vari social network.
Claudia ha 27 anni e tre figli. Era l’amante di Josè, non certo la fidanzata ufficiale, Yuriana Castillo Torres, assassinata a metà maggio a soli 23 anni. Se si trattasse di una fiction verrebbe da pensare che, dopo l’arresto de “El Chino”, la “Kim Kardashian” dei narcos (così è soprannominata la Ochoa Félix), abbia provveduto ad eliminare la rivale divenendo di fatto l’erede ufficiale degli Antrax. Ma questo, almeno dalle informazioni ricavabili dagli articoli, non è dato saperlo.
Più che scandalizzarsi per le foto (facilmente rintracciabili compiendo una ricerca con hashtag del tipo #narcos #cartel #sinaloa #antrax) avrebbe dovuto fare scalpore il dato impressionante dei quasi 55mila seguaci a nessuno dei quali è stato ricambiato il follow. Una vera e propria venerazione per quella che sembra essere a tutti gli effetti una popstar del narcotraffico. Nelle fotografie, infatti, si mette in posa scimmiottando le stelle del jet set, solo che oltre a mostrare il culo, le tette e le labbra condisce il set fotografico con armi automatiche d’oro tempestate di diamanti, pacchi di dollari cosparsi sul corpo e qualche sparatoria.
Nell’immaginario collettivo, il potere delle donne nell’ambiente maschile dei narcos messicani ha degli antecedenti di tutto rispetto: il romanzo di Artuto Perez-Reverte, la “Reina del Sur”, che racconta la storia di Teresa Mendoza, e il film “Le belve” in cui Salma Hayek interpreta donna Elena. Entrambe ottengono un ruolo di primo piano a causa del decesso del loro uomo ed entrambe alternano la violenza dell’azione criminale alla pietà umana rischiando di essere schiacciate dalla loro stessa debolezza.
Non è impossibile pensare che Claudia, atteggiandosi a diva, tenti di imitare, anche inconsapevolmente, le due protagoniste per aumentare il suo appeal mediatico. Spesso è capitato che i boss di Cosa nostra americana ostentassero comportamenti stereotipati a causa della suggestione determinata dalla trilogia de “Il Padrino”.
Fino a che punto l’immaginario mafioso, intrecciato alla realtà del vissuto criminale, influenza l’autorappresentazione mafiosa? Questo potrebbe essere uno dei casi in questione, ma, come al solito, si è preferito fermarsi all’aspetto più appariscente: il protagonismo digitale, ovvero il cosiddetto narco-glam diffuso su Instagram.
Un aspetto che non riguarda solo il sesso femminile; anzi, per dirla tutta, i selfie dei narcos sono indicativi del fatto che il loro modo di agire è simile a quello di milioni di altri giovani attratti dalla logica del mostrare se stessi e il proprio ambiente. Dal che ne se ne deduce che il contesto criminale messicano è parte integrante della globalizzazione digitale come qualsiasi altro aspetto della realtà contemporanea (anche le superstar di Hollywood hanno ceduto all’imperativo del selfie durante la notte degli Oscar).
L’elemento più interessante, proprio perché ha similitudini con la camorra, è, invece, il ruolo attivo in posizione apicale delle donne. Tutti ricordate la figura mitizzata (anche attraverso una miniserie televisiva) di Pupetta Maresca, l’attivismo di Rosetta Cutolo o la determinazione di Anna Mazza in Moccia.
Esempi eclatanti, ma nella quotidianità sono centinaia le donne che gestiscono gli affari della camorra, dai prestiti usurari alla reti spaccio, con il piglio energico dei boss. Una trasformazione antropologica (che rimette in discussione il modello machista delle organizzazione mafiose) celebrata anche in una canzone neomelodica, “Femmena d’onore”, la cui interpretazione è affidata a Lisa Castaldi.
Il brano inizia con la citazione di una sentenza: Francesco Della Noce condannato a 15 anni per associazione di stampo mafioso, art. 416 bis del codice penale. Si tratta senza dubbio di un camorrista. In assenza del marito la moglie è costretta ad assumere anche la funzione del padre di famiglia (cioè il ruolo di comando), in modo che i figli (quelli naturali e quelli “acquisiti”) crescano senza sentirne la mancanza.
La “femmena d’onore”, preso atto della sanzione penale inflitta al consorte, pronuncia la condanna a morte del traditore che, prima si è arricchito grazie alla camorra, poi per paura della galera si è messo a collaborare con lo Stato, lasciando pagare ad altri il suo debito con la giustizia. Ma al calare della notte, la boss, in quanto donna, ha un cedimento psicologico e piange nel silenzio della casa. La mattina seguente, con la luce del sole, la paura svanisce ed è pronta a far eseguire la sentenza capitale proprio come avrebbe fatto il suo uomo.
Nella serie “Gomorra”, per esempio, ad un certo punto donna Imma, prende in mano le redini del clan Savastano assumendo, senza batter ciglio, delle decisioni ardite che mettono a rischio persino la vita del figlio pur di riconquistare la leadership nel rifornimento delle piazze di spaccio. È lei che provocherà, con un’ambiguità dettata da uno spietato cinismo che neanche il marito avrebbe saputo osare, la maturazione criminale di Jenny.
Il ruolo della donna è uno dei tanti fili rossi che uniscono e avvicinano le diverse forme di criminalità mafiosa del globo terrestre. Spesso sono mogli, madri, sorelle, figlie di persone che rivestono ruoli di comando nei clan. Non ignorano le attività del proprio uomo, anzi è probabile che siano parte integrante del fascino mascolino.
Una volta entrate nella “famiglia” ne diventano protagoniste attive, non silenziose e passive custodi di una cultura di condivisione e omertà. Non sono subalterne, non si limitano a fornire un supporto “morale” alle attività dei parenti, non esercitano solo un potere riflesso anche se la loro affermazione in ambito criminale si manifesta solo a causa di un arresto o dell’uccisione di un congiunto. In queste circostanze palesano un’attitudine al comando notevole. Il venire a mancare di chi in famiglia garantisce il benessere le obbliga a prendere in mano l’organizzazione prima che siano altri aspiranti a farlo, eliminandole dai circuiti decisionali e poi da quelli ridistribuivi del reddito.
A Claudia piace il lusso e la bella vita. È stata la donna di un capo che si dilettava a farsi riprendere in pose alla «Scarface». Lui è in galera, perciò ora tocca a lei sapendo che comandare significa, nella società dei mass-media, saper comunicare gli strumenti del potere. Per il resto, come scrive sul suo profilo Instagram, la sua vita appartiene “Esclusivamente” ai suoi tre figli.