La decisione di Napolitano è per certi versi incomprensibile. Ne abbiamo scritto più volte in questi giorni e certamente non bisogna nascondersi le condizioni in cui è maturata la scelta del Capo dello Stato: un Paese diviso, partiti distanti anni luce e troppo, davvero troppo, impegnati nella propria autoconservazione, un clima da "caccia alle streghe" in cui, come scrive Bracconi su Repubblica, "essere un politico, indipendentemente da cio’ che si è fatto, è diventato un reato; essere un giornalista, indipendentemente da cio’ che si è scritto, è diventato collusione; percepire uno stipendio da un partito, per qualsiasi motivo, è diventato rubare ai cittadini".
Eppure, proprio per questi motivi appare ancora più indigeribile l'idea di una ulteriore sovrastruttura, di un organismo dalle incerte radici istituzionali e dai compiti tanto nebulosi quanto enormi: un esperimento destinato a dividere, più che ad unire. In sostanza, i saggi sono già stati sfiduciati prima di aprir bocca, di buttare giù due righe, di procedere a quella fusione di istanze in vista di riforme da attuare in Parlamento. E, del resto, la clamorosa idea di Napolitano, si è ben presto trasformata in una commissione di "facilitatori per far emergere dei punti comuni". Poca roba, insomma. Non fosse altro che per i limiti intrinsechi del progetto, che è possibile indicare per punti.
– Rappresentatività. Se il compito dei saggi è quello di individuare delle "sintesi possibili" sui temi, non si capisce la necessità di esautorare completamente una forza politica che raccoglie un sesto dei parlamentari ed un quarto dei voti (e il nome di Onida è davvero una foglia di fico in questo caso). Per di più associando tale progetto a nomi legati a pagine non proprio esaltanti della recente storia parlamentare.
– Tempistica. A quindici giorni dall'avvio delle elezioni per il nuovo Capo dello Stato e a poco più di un mese dalla scadenza del suo mandato, Napolitano dà dieci giorni di tempo ai "saggi" per verificare le convergenze in modo da assistere il governo (dimissionario) ed il Parlamento (alle prese con la "madre di tutte le battaglie", l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica). Discutibile, a dir poco.
– Incidenza. In pratica i dieci saggi sono dei facilitatori. Senza alcun tipo di potere decisionale o consultivo, senza alcuno strumento per operare, senza l'autorevolezza necessaria alla moral suasion. Davvero qualcuno si aspetta soluzioni miracolose dalla Commissione, considerando la necessità che passino comunque al vaglio di Governo e Parlamento?
– Cooptazione. Nel momento in cui si discute di democrazia, rappresentativa, partecipativa, diretta, il Capo dello Stato nomina unilateralmente 10 superesperti, non più tecnici, non più (o non troppo) politici. Saltando a piè pari democrazia diretta e rappresentativa.
– Inutilità. È probabilmente questo il punto centrale: questo lavoro potrebbe non servire a nulla e divenire semplicemente una ulteriore perdita di tempo. Sia detto per inciso, ma l'unica reale funzione dei saggi potrebbe essere quella di verificare i margini di un nuovo inciucio, governissimo o larghe intese (magari sotto la "maschera della responsabilità"). Il punto è che si tratta di una situazione per nulla risolutiva, che anzi lascia nelle mani del nuovo inquilino del Quirinale un ulteriore fattore di confusione. E ne vincola finanche le prime mosse.