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Opinioni

Chi sta peggio tra le banche italiane e spagnole?

Un report di Morgan Stanley suggerisce di attendere prima di acquistare titoli di banche spagnole, anche se si nota qualche segnale di miglioramento. Ma le banche italiane come stanno? Proviamo a scoprirlo assieme…
A cura di Luca Spoldi
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Ho letto stamane un report di Morgan Stanley sulle banche spagnole, che in sostanza partendo dalla constatazione che gli istituti iberici da inizio giugno ad oggi hanno sovraperformato il comparto europeo di un 24% in termini di performance borsistiche si chiedevano se la crisi non possa essere considerata alle spalle e non sia il caso di comprare azioni di banche spagnole. Una domanda che istintivamente mi ero posto pure io qualche giorno fa, passeggiando per le vie di Matarò, piccolo centro turistico capitale del Maresme, una delle 11 comarche della provincia di Barcellona che conta su circa 400 mila residenti (dei circa 5,5 milioni dell’intera provincia di Barcellona) nel cui centro, non esagero, trovate una banca ogni 4-5 vetrine commerciali. Un numero a dir poco esorbitante, specie se si considera che le banche spagnole stanno a pezzi, con un’esposizione netta nei confronti della Bce che pur essendo sceso a fine luglio sui minimi dal marzo 2012 resta di oltre 248 miliardi.

Non solo: le banche spagnole sono pesantemente esposte sia nei confronti del Portogallo (che sembra sempre più vicino a chiedere a sua volta un salvataggio europeo per i propri istituti, dopo che già Madrid ha ottenuto mesi addietro fino a 100 miliardi di euro di aiuti europei, 41 miliardi dei quali già utilizzati) sia di un mercato immobiliare che fatica a riprendersi tanto che la Sareb, la “bad bank” che ha già rilevato 107 milardi di crediti immobiliari dalle banche spagnole, sembra intenzionata a bloccare (e far abbattere) 160 dei 650 progetti che si è trovata a dover gestire, visto che di ripresa sarà difficile si possa parlare prima dei prossimi 3-5 anni. Viste queste considerazioni non è per nulla strano che i prudenti analisti di Morgan Stanley, nonostante ci si attenda un miglioramento (di circa 20 basis point) dei margini grazie a minori costi di funding, sconsiglino di puntare sui titoli bancari spagnoli.

La debolezza dell’attività in termini di volumi e la previsione degli esperti (più elevata, dunque peggiore, di quelle medie di mercato) di ulteriori accantonamenti su crediti anche nel 2014 rendono cauti gli esperti, secondo cui “non è ancora ora il tempo di comprare”, ma che poi aggiungono che tra gli istituti concentrati sul mercato spagnolo la piccola Bankinter resta la favorita in termini di qualità del bilancio, ma date le quotazioni raggiunte dal titolo (solo il 7% sotto il target price di 3,7 euro) se proprio volete fare una scommessa sarebbe meglio puntare piuttosto sul colosso Bbva per seguire il recupero del mercato creditizio spagnolo, dato che il titolo avrebbe ancora un margine di rivalutazione attorno al 24%.

E le banche italiane? Nel report c’è una tabella molto interessante che riassume i principali numeri chiave di tutte le maggiori banche europee, comprese quelle italiane. Bene, anzi maluccio: dei nostri maggiori istituti solo UniCredit viene giudicato meritevole di un “overweight” (sovrappesare in portafoglio), per Intesa Sanpaolo non si va oltre l’equal-weight (peso neutro), mentre il consiglio su Mps, Ubi Banca, Banco Popolare, Bpm e Mediobanca è “underweigh” (sottopesare), come dire che è decisamente meglio girare al largo ancora per un po’. E questa non è certamente una bella notizia neppure per imprese e famiglie che dalle banche si attenderebbero una mano per superare le difficoltà del momento, ma difficilmente la riceveranno.

Del resto non sembra esservi ancora molto da fare: in termini di patrimonializzazione, ossia di “solidità”, se UniCredit e Intesa Sanpaolo sembrano abbastanza al riparo (a fine anno e a fine 2014 dovrebbero registrare un coefficiente Core Tier 1 ratio, che tiene conto solo del capitale più “sicuro”, attorno al 9,8% e al 9,9% nel caso di UniCredit, al 10,7% e 10,5% nel caso di Intesa Sanpaolo), tra gli altri solo Ubi Banca dovrebbe superare la soglia minima del 9% (con un 9,4% e un 9,6% rispettivamente) prevista dagli accordi di Basilea III, mentre Mediobanca, Bpm e Banco Popolare oscillerebbero tra il 7% e l’8% e Mps si fermerebbe tra il 4,6% di quest’anno e il 5,2% previsto a fine 2014. Il che, ceteris paribus, vuol dire nuove ricapitalizzazioni in arrivo, anche se non è chiaro al momento chi vorrà e potrà sottoscrivere (e a quali condizioni) i futuri aumenti di capitale. Più giù, dalle parti di Carige e Bper (non monitorate dagli analisti di Morgan Stanley) la situazione non sembra migliore, anzi.

Qualcuno potrebbe dire: le banche italiane staranno cercando di migliorare i margini e gli utili più che i coefficienti patrimoniali. Non è esattamente così o per lo meno i frutti delle ristrutturazioni in corso debbono ancora vedersi: il ritorno sul patrimonio netto per Bankinter dovrebbe salire dal 7% previsto a fine anno al 9,5% entro fine 2015, per il Banco Santander dal 9% quest’anno al 14,7% a fine triennio, mentre UniCredit pur accelerando nettamente rispetto al 2% atteso a fine 2013 non dovrebbe superare l’8,1% a fine 2015 e Intesa Sanpaolo passerebbe dal 4,6% all’8,4% (solo Mediobanca sembrerebbe in grado di avvicinarsi ai risultati dei migliori istituti spagnoli, passando dall’8,1% atteso a fine anno ad un 9,2% a fine 2015). Così non è strano che la capitalizzazione delle banche italiane sia mediamente inferiore a quella delle “cugine” iberiche, con solo UniCredit e Intesa Sanpaolo attorno ai 24,5 e ai 23,5 miliardi, rispettivamente, mentre gli altri istituti navigano tra gli 1,2 miliardi (Bpm) e i 4 miliardi (Mediobanca).

Per fare un paragone Banco Santander capitalizza già oggi 60,2 miliardi, Bbva 41,7 miliardi, CaixaBank 13,8 miliardi, ma anche Banco Popular (6,3 miliardi), Banco Sabadell (5,3 miliardi) e la piccola Bankinter (3,1 miliardi) potrebbero facilmente lanciare, se mai volessero (ma dubito vorranno) un’Opa su qualche banca italiana. Se poi estendessimo il confronto ad altri “big” europei, scopriremmo che Bnp Paribas capitalizza 59,4 miliardi di euro, ha un ritorno sul patrimonio netto atteso nel triennio 2013-2015 tra l’8% e il 9,5% e presenta un Core Tier 1 ratio calcolato secondo Basilea III che a fine anno dovrebbe risultare del 10,4% e l’anno prossimo del 10,7%. O che Ubs capitalizza 58,1 miliardi di euro, con un ritorno sul Nav previsto tra l’11,2% e il 14,6% a fronte di un Core Tier 1 (secondo Basilea III) che dovrebbe passare dal 14,2% di fine anno al 13% l’anno venturo.

Non serve essere degli analisti finanziari per capire che gli spazi per le banche italiane non si stanno ampliando, semmai riducendo. E con esse, temo, anche quello delle nostre aziende e più in generale, ancora una volta, del sistema paese, impegnato a correr dietro a prese in giro come la riduzione dell’Imu (che dovendo avvenire a invarianza di gettito fiscale produrrà inevitabilmente un inasprimento di altre imposte) e alle vicende di questo o quel politico di casa nostra, e sempre più disconnesso dalla realtà che prima o poi rischia di presentare un conto anche più salato di quello attuale, a giovani e meno giovani.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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