“Il M5S ha bisogno di una struttura di rappresentanza più ampia di quella attuale. Questo è un dato di fatto. Io, il camper e il blog non bastiamo più”. Con queste parole Beppe Grillo ha annunciato la volontà di farsi affiancare da un gruppo composto da cinque parlamentari, come “riferimento più ampio del M5S in particolare sul territorio e in Parlamento”. I nomi proposti sono quelli di Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia: agli iscritti il compito di ratificare con un voto sul sistema operativo la scelta del capo politico del Movimento 5 Stelle (che rimarrà “garante” e si incontrerà regolarmente con loro).
Si tratta di una scelta sorprendente per i tempi e i modi, ma che certamente testimonia quanto avanzata fosse la discussione sull’organizzazione, sulla struttura e sulla catena di comando all’interno del Movimento 5 Stelle. Tensioni e polemiche esplose in maniera plateale nella vicenda che ha portato all’espulsione dei deputati Artini e Pinna, con tanto di delegazione “ricevuta” da Grillo nella sua villa di Marina di Bibbiona. Resta da capire quale sia il significato di questa svolta e cosa ci dica la scelta di Grillo.
In primo luogo appare chiaro come non ci sia una concessione sostanziale al gruppo dei “dissidenti”, dal momento che i cinque nomi individuati da Grillo sono da iscriversi al gruppo dei fedelissimi o, se preferite, degli integralisti dell’ortodossia grillina. Al di là delle posizioni assunte nelle assemblee dei gruppi e del posizionamento su questioni specifiche (non si ricordano divergenze rispetto alla linea della catena di comando grillina), un indicatore interessante è quello dei cosiddetti “voti ribelli” (ovvero in dissenso rispetto al gruppo parlamentare). Grazie all’indice di Openpolis, possiamo infatti notare come i voti ribelli di Fico siano solo 4 su oltre 6mila, quelli della Ruocco 19, quelli di Sibilia 3, di Di Maio 6 e di Di Battista 9. Insomma, fedeli, anzi fedelissimi alla linea.
Tutti gli incaricati sono poi deputati, dato non secondario considerando che le grane maggiori per Grillo e Casaleggio sono arrivate dal Senato; mentre 3 su 5 sono stati eletti in Campania e due nel Lazio (anche se la Ruocco è campana per nascita), un segno evidente di quali siano i rapporti di forza all’interno del Movimento (e del resto qualche perplessità c’era stata anche sul tandem Fico – Di Maio per le due cariche di maggior rilievo assegnate al M5S). Poco da dire per il resto sulle scelte di Fico, Di Maio e Di Battista: si tratta probabilmente dei 3 personaggi più riconosciuti e riconoscibili fra gli eletti del Movimento 5 Stelle, dotati di autorevolezza e considerazione fra i militanti e di sicura resa in televisione.
Di Maio è riuscito, in questi mesi da vicepresidente della Camera, a consolidare la sua posizione all’interno del gruppo e a reggere bene nel doppio ruolo politico e istituzionale: è da tempo considerato fra i papabili per il “dopo Grillo”, soprattutto per la sua capacità di reggere il confronto senza eccedere (ricordate la trattativa sulla legge elettorale ed il suo “duello” con Renzi, così diverso dalla caciara di Grillo…) e per la sua “resa” in televisione. Fico ha invece beneficiato della sua poltrona in Commissione di Vigilanza Rai per confermarsi come uno dei “grillini” più esperti e preparati, poco avvezzo alle “sceneggiate” e più incisivo nell’azione politica (anche a luci spente): del resto, si tratta di uno dei più vicini in assoluto al capo politico del Movimento 5 Stelle e la cui lealtà al progetto politico non è mai stata messa in discussione. Di Battista ha scelto invece di avere le mani libere, senza ruoli all’interno nel gruppo o incarichi istituzionali (se si eccettua quello in Commissione Esteri): in questo modo si è ritagliato il ruolo di leader carismatico, partecipando a gran parte delle “contestazioni pittoresche” del gruppo alla Camera; qualche nemico se lo è fatto sia all’interno del M5S (diciamo che non tutti apprezzano la sua teatralità), sia nell’Aula (dove è protagonista di frequenti “duelli verbali”, per usare un eufemismo), ma ne ha guadagnato in popolarità fra i militanti.
Qualche perplessità hanno invece suscitato le scelte di Sibilia e della Ruocco. Il deputato avellinese in questi mesi si è segnalato più per uscite teatrali e al limite del surreale che per l’incisività dell’azione politica. Certo, si tratta di un esponente che gode di grande rispetto all’interno del gruppo (nonché di uno dei più attivi, quanto alla mole di lavoro prodotta), ma pur sempre protagonista di uscite decisamente surreali, anche in Aula. Da “Letta Giuda” a “Renzi figlio di troika”, passando per la trasferta al Bilderberg e per una singolare spiegazione del signoraggio bancario, fino ad arrivare alle gaffe sull’allunaggio “che era una farsa” e sugli omicidi di Falcone e Borsellino come “evento politico rivoluzionario” (e ci fermiamo qui, ma la bibliografia sulle uscite di Sibilia è lunga e in costante aggiornamento). La Ruocco ha invece affiancato una serrata attività parlamentare al processo di legittimazione interna al gruppo e fra i militanti. A lei sono stati assegnati compiti di “studio ed analisi”, in particolare sui provvedimenti economici, anche se la cittadina Ruocco non si è fatta mancare “momenti di celebrità”, dal botta e risposta con la Carfagna al “Brunetta capo del malaffare”.
In generale Grillo ha preferito una mezza apertura, ma con scelte che non mettono in discussione la "rotta" degli ultimi mesi. Non è un premio alla "fronda" interna, tutt'altro: è la conferma della volontà di rilanciare l'azione del Movimento ma sugli stessi binari, quelli della contrapposizione al Governo Renzi, della integrità "morale e politica", del "bene comune" (il progetto) superiore alle derive personalistiche, senza una riflessione sulle regole e sugli strumenti della partecipazione (che è invece chiesta a gran voce, non solo dagli eletti). C'è una legittimazione evidente del ruolo dei parlamentari, mentre si marginalizza sempre di più l'apporto dei "militanti in Rete", ancora una volta chiamati a ratificare decisioni prese altrove. E non è un caso se c'è chi come Bertola parla espressamente di una scelta che trasforma definitivamente il M5S in un partito tradizionale. Se sia la giusta ricetta per uscire dal pantano, lo scopriremo nei prossimi mesi.