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Opinioni

Chi è Theresa May, la nuova Thatcher anti immigrati alla guida del Regno Unito

Gli annunci per la povertà, l’impegno militare, soprattutto lo stop agli immigrati: profilo del nuovo premier del Regno Unito post Brexit.
A cura di Michele Azzu
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Chi è Theresa May, il parlamentare del partito dei conservatori di David Cameron, che da mercoledi diventerà il nuovo premier del Regno Unito? Nelle ultime ore, Andrea Leadsom, la contendente di May alla guida del partito dei conservatori – e dunque del governo dopo che David Cameron aveva rassegnato le dimissioni a seguito del referendum sulla Brexit – si era ritirata dalla corsa dopo alcuni commenti infelici che le sono costati la fiducia del partito.

Dunque, Theresa May. E se solo pochi giorni fa Cameron affermava che un nuovo governo si sarebbe insediato il prossimo ottobre, e c'era anche chi paventava lo scenario di nuove elezioni politiche a settembre, ora il dubbio non c'è più. Martedi ci sarà l'ultimo intervento in aula di Cameron, poi il colloquio dalla Regina, e mercoledi May sarà premier. I tempi stretti della crisi britannica, con la sterlina in caduta libera e l'Unione Europea che chiede insistentemente che si certifichi la Brexit, non hanno lasciato spazio a ulteriori attese.

Quella di May è una nomina per molti versi storica. Anzitutto, May sarà il secondo premier donna del paese dopo Margaret Thatcher, l'indimenticabile leader britannica che distrusse negli anni '80 la resistenza dei sindacati chiudendo le miniere, tagliando servizi e sussidi alla classe lavoratrice. May è stata descritta da molti come la "nuova Thatcher", come il suo collega e vecchio esponente dei Tories, Ken Clarke, che in un fuorionda televisivo l'ha definita una: "donna dannatamente difficile".

I conservatori, il governo e il paese, dunque, sperano in una nuova "Lady di ferro", come veniva definita appunto Thatcher, che possa portare il paese in tempi brevi fuori dal caos politico, economico e sociale di questi giorni successivi al referendum che ha decretato l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. La sterlina, infatti, ha perso il 10% del suo valore rispetto al dollaro americano, mentre le borse hanno spazzato via 2 trilioni di dollari. E il paese è scosso da una crescita di aggressioni razziste contro musulmani, asiatici ed europei, a cui viene intimato di lasciare il paese.

C'è bisogno di una guida, e May sembra proprio avere il taglio del leader. Ha una grande supporto del suo partito, a differenza di Jeremy Corbyn, leader dell'opposizione che è stato sfiduciato dall'80% del partito Labour. May ha passato gli ultimi 6 anni nel governo come ministro dell'interno, e anche se non ama apparire, si è più volte imposta come un politico deciso, autorevole e capace di portare a casa il risultato. Per dirla come nel suo discorso di candidatura: "Semplicemente, il mio nome è Theresa May e sono la persona migliore per guidare questo paese".

O come l'ha descritta Cameron: "È forte, è competente, è la guida di cui il paese ha bisogno". Durante il governo Cameron, May si è occupata dei "riot", le rivolte di Londra del 2011, ha preso decisioni militari e contro il terrorismo decisive, come a seguito dell'uccisione del soldato britannico Lee Rigby, quando diresse una seduta del comitato d'emergenza "Cobra", in assenza del premier. O quando fermò l'estradizione negli USA del militare britannico Gary McKinnon.

May è conosciuta come un politico dal carattere "morale", più che ideologica, e negli ultimi giorni ha anche espresso opinioni a difesa dei lavoratori. "Voglio vedere più trasparenza sui bonus dei dirigenti delle aziende e nel rapporto tra lo stipendio dell'amministratore delegato e i suoi dipendenti", ha affermato il neo-premier. Una posizione di questo tipo non deve sorprendere: il voto per la Brexit viene soprattutto da un ceto medio britannico impoverito, di gente che chiede più tutele e salari migliori.

"Abbiamo bisogno di un governo che porti a compimento le riforme sociali", ha detto May: "Perché adesso se nasci povero morirai in media nove anni prima. Se sei nero sei trattato peggio dal sistema giudiziario, e se vieni dalla classe lavoratrice hai più probabilità degli altri di non andare all'università". May ha anche espresso la volontà di intervenire sulle case popolari – grande problema nel Regno Unito e in particolare di Londra – e per abbassare le bollette dell'energia, aiutare le regioni povere e rilanciare l'industria.

Che un leader di destra, quale è May, abbia posizioni sul sociale così "di sinistra", non deve sorprendere. Da una parte c'è, si diceva, la chiara volontà anti-austerity espressa dai cittadini nel voto per la Brexit – contro l'Unione Europea della finanza e dei tecnocrati. Dall'altra, c'è un chiaro tentativo di fare concorrenza al vetero-comunista leader dell'opposizione Jeremy Corbyn, che sta ottenendo – nonostante la sfiducia del suo partito – un grande consenso popolare con le sue idee sul welfare e sui diritti dei lavoratori: il partito ha guadagnato 100mila nuovi iscritti in un pochi giorni, portando i sostenitori del Labour a 500mila iscritti, la cifra più alta da decenni.

Ma c'è anche, dall'altro lato, il profilo di un politico complesso qual è May, non solo turbocapitalista, non solo "laissez-faire" del mercato, ma anche sociale, per lo meno negli annunci. Dopotutto, May è cresciuta nell'humus del padre, un reverendo protestante: "Sono cresciuta figlia di un reverendo locale e nipote di un sergente maggiore del reggimento: il servizio pubblico è parte di ciò che sono". Ecco, la visione di May: il servizio per il bene del paese, una sorta di missione, quella di salvare il Regno Unito dalla scissione della Scozia, e dal tracollo finanziario che può seguire alla Brexit.

Una donna, la seconda dopo Thatcher, che in passato ha anche sofferto: la morte del padre in un incidente di auto e della madre, poco dopo, per sclerosi. May, inoltre, è diabetica, e col marito hanno reso nota l'impossibilità di avere figli naturali. Una donna, infine, che ricalca il percorso anglosassone del successo grazie al duro lavoro: May ha studiato in scuole private per poi laurearsi ad Oxford, dove ha conosciuto il marito, un banchiere, con cui è sposata da 36 anni. Anche May ha lavorato alla Banca d'Inghilterra, prima di arrivare a Westminster nel 1997.

Sembra quasi un'ironia, quindi, che la banchiera non eletta May vada a trattare la Brexit, l'uscita dall'Unione Europea dei "tecnocrati non eletti e servi della finanza". Tant'è, May è assolutamente certa di potercela fare: "Brexit significa Brexit", ha affermato il neo-premier a chi ancora crede si possa tornare indietro o procedere a un nuovo referendum. "Non ci saranno tentativi di rimanere dentro l'UE, il Paese ha votato per uscire e come premier mi renderò certa che questo accada". Nei prossimi mesi, dunque, la vera sfida sarà fra due donne di ferro: Theresa May contro Angela Merkel. A trattare i nuovi confini di un Regno Unito fuori dall'UE, sia nel commercio che per l'immigrazione.

E qui, alla fine, sta il vero cuore della politica May, nuovo premier del Regno Unito, la "nuova Thatcher". Perché subito dopo gli omosessuali – May ha votato per ben due volte contro l'adozione delle coppie gay e ha disertato l'aula durante le quattro votazioni del "Gender Recognition Act" per i diritti lgbt – Theresa May ha sempre agito in opposizione agli immigrati. Asiatici, arabi, europei, non importa: per May devono andare tutti a casa, come si leggeva anche su un manifesto elettorale da lei voluto che sotto un bel paio di manette diceva: "Sei Nel Regno Unito illegalmente? Torna a casa tua o ti arrestiamo".

Nel 2012 May è stata fautrice di un nuovo testo che ha imposto un tetto minimo di reddito agli immigrati non europei nel Regno Unito: dopo 5 anni nel paese, per cui bisogna già essere muniti di un visto, o guadagni almeno 45mila euro l'anno o devi tornare a casa. Ora, qualcosa di simile potrà essere introdotto da May anche per gli europei, e per tutti quegli italiani che ancora vanno in Inghilterra in cerca di un posto di lavoro. "Solo il 70% di coloro che hanno già un contratto di lavoro specifico otterranno un visto temporaneo", dice May.

L'idea è quella di un sistema a punti simile a quello australiano. In breve, fra un paio d'anni, o anche prima, non sarà più possibile per gli europei trasferirsi nel Regno Unito per cercare lavoro: sarà necessario andare solo se un lavoro lo si è già trovato. E niente sussidi, visti temporanei, e probabilmente dopo alcuni anni anche la necessità di guadagnare una determinata cifra oppure: "fuori". Eppure, la questione sull'immigrazione non è per nulla semplice. Perché il Regno Unito una volta fuori dall'UE dovrà per forza negoziare un nuovo accordo commerciale con l'unione.

E dalla Commissione Europea e dalle voci dei vari premier, da Angela Merkel, da Donald Tusk non c'è stato dubbio: se il Regno Unito vuole l'accesso al mercato europeo dovrà continuare a garantire il libero movimento dei cittadini comunitari. È Theresa May contro gli immigrati, ora, qui si gioca la partita della Brexit e il futuro del nuovo premier donna del paese. E poco importa se nel frattempo il 48% del paese vorrebbe restare nell'UE, poco importa per quei 3 milioni di europei nel paese per cui proprio May, nei giorni scorsi, ha vergognosamente minacciato di "non avere certezze" – tanto che il governo ha dovuto rettificare per calmare il panico suscitato.

Ora per gli immigrati, saranno giorni durissimi nel Regno Unito della nuova Thatcher.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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