Chi è “l’angelo della morte”, il killer messicano che protegge i narcos
Su Wikipedia l’angelo della morte è indicato come un particolare serial killer che opera nel contesto ospedaliero. Di solito medici e infermieri che creano situazioni di emergenza, mettendo a repentaglio la vita del paziente, per attirare l'attenzione su di sé. La morte viene giustificata come sollievo del sofferente. Alcuni uccidono presi da un raptus di onnipotenza derivante dall'avere il controllo sulla vita e sulla morte dei degenti; altri dichiarano di agire per il bene dei malati, anche se non sempre si tratta di porre fine a patologie irreversibili.
Se volgiamo lo sguardo verso il mondo dei narcos messicani l’angel de la muerte assume tutto un altro significato. È una figura di supporto dei matadores dei cartelli della droga. Una specie di scudiero dei narcokiller a cui è affidato un compito di ferale precisione: attenderela fine dell’esecuzione del nemico per piombare come un avvoltoio sul corpo in fin di vita e infliggere il colpo di grazia. Nella maggior parte dei casi si tratta di adolescenti o ventenni addestrati a macellare l’avversario come una bestia prima di esporlo al pubblico in modo esemplare, secondo la famosa pratica del colpirne uno per educarne cento. Uno degli angel de la muerte più famosi è stato il giovanissimo Edgard Jimenez Lugo, detto El Ponchis, un quattordicenne divenuto famoso perché caricava su Youtube le sue perfomance riprendendo con lo smart-phone l’attimo in cui sgozzava le vittime, ormai prive di forza.
Una carriera brillante perché in poco tempo Edgard è reclutato come sicario ufficiale del cartello Beltràn Leyva nello stato di Morelos. Ora El Ponchis sta scontando la galera. Un altro angelo della morte molto conosciuto era Cesar Lupercio Torres, detto El niño de oro, che accompagnava nelle spedizioni di morte Antonio Olalde, il famoso ejecutor del cartello dei Cavalieri templari. La notorietà di Cesar, ucciso durante un conflitto a fuoco, era legata alla fama del suo datore di lavoro (conosciuto anche come Broly Banderas) che posta fotografie delle missioni di morte sui suoi numerosi account di Facebook.
Basta dare uno sguardo alle fotografie per comprendere come la violenza sia parte integrante della vita messicana al punto da non scandalizzare più nessuno se un sicario rende pubblica la sua attività professionale sul social network più popolare del globo. Una serie di selfies in cui sfoggia, oltre al look curato da pop star, pistole e mitragliatori come se fossero innocui strumenti del mestiere. La tolleranza pubblica è tale da considerare del tutto normale che alcuni, soprattutto i più giovani, curino la loro immagine pubblica attraverso la realtà digitale, come se si trattasse di un marchio commerciale da promuovere. Veicolano, mostrando le stimmate della ricchezza, uno stile di vita che vuole essere un vero e proprio mexican way of life il cui messaggio di violenza è cool oltre ad arricchirti e renderti macho.
È per questa smania comunicativa di mostrare la forza della violenza che El niño de oro è stato fatto trovare impalato lungo una strada a scorrimento veloce con un cartello inchiodato in petto in cui si mandava un messaggio a Broly Banderas: “La tua password era facile da aprire [con chiara allusione alla passione per Facebook, NdR]… il ragazzo d’oro ormai è storia passata, è morto per quello che era, un cane!”, di cui Olalde era il padrone.