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Che cos’è l’Ala kachuu, l’assurdo sequestro di giovani ragazze a scopo di matrimonio

In Kirghizistan, migliaia di donne vengono sequestrate ogni anno e costrette a sposarsi. Lo chiamano Ala kachuu (“prendi e fuggi”, nella lingua locale). Il “rapimento della sposa”, nonostante sia illegale dal 2013, continua ad essere una pratica diffusa in tutto il Paese dell’Asia centrale. Molte ragazze finiscono per accettare il loro destino ma c’è anche chi, per la disperazione, preferisce togliersi la vita.
A cura di Mirko Bellis
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Il rapimento di una ragazza kirghisa per obbligarla al matrimonio (Restless Beings)
Il rapimento di una ragazza kirghisa per obbligarla al matrimonio (Restless Beings)

Una giovane donna cammina per strada, all'improvviso una macchina si ferma, alcuni uomini scendono e con la forza la trascinano dentro il veicolo che riparte a tutta velocità. La scena avviene in pieno giorno davanti a decine di testimoni. Quello che comunemente è un sequestro, in Kirghizistan ha un nome: Ala kachuu (“prendi e fuggi”, nella lingua locale). Lo scopo del rapimento è il matrimonio, e nel piccolo Paese dell’Asia centrale è un fenomeno tutt'altro che marginale. Sebbene non esistano cifre esatte, secondo le Nazioni Unite, sarebbero quasi 12.000 le kirghise che ogni anno vengono rapite e costrette a sposarsi con la forza, molte di loro appena adolescenti.

“Mia madre è stata rapita per diventare una sposa. E così mia sorella. Quasi tutte le mie parenti hanno subito un matrimonio forzato”, racconta una ragazza kirghisa obbligata a sposarsi con il suo sequestratore a 16 anni. “Non sapevo niente della vita coniugale. E’ stato molto difficile perché non lo amavo, ma non aveva altra scelta”. Dopo il rapimento, la donna viene portata in una casa dove ad attenderla ci sono i familiari del futuro marito. Saranno proprio la suocera e le altre parenti dello sposo a svolgere un ruolo chiave nel persuadere la ragazza ad accettare il matrimonio. Con metodi altrettanto brutali, la obbligano a coprirsi la testa con un velo bianco: secondo la tradizione è pronta a sposare il suo rapitore.

Sono pochissime le donne che resistono e rifiutano l’unione; il resto, circa l’84%, finisce per accettare il proprio destino. Come Arabella, prelevata con la forza mentre studiava all'università. Dopo due settimane è stata obbligata a sposare l’uomo che l’aveva sequestrata; condannata ad una vita da reclusa ha sopportato per anni le violenze e gli abusi continui del marito prima di ribellarsi.

Ma c’è anche chi ha preferito il suicidio. Nel 2011, Venera Kasymalieva e Nurzat Kalykova, due studentesse di 20 anni della provincia settentrionale di Issyk-Kul, si tolsero la vita pochi mesi dopo il matrimonio forzato. E ancora, Yrys Kasymbai, morta suicida l’11 giugno 2012. In seguito la sua famiglia denunciò Shaimybek Imankulov, di 36 anni, per aver rapito e sposato la figlia contro la sua volontà. L’uomo affermò che la ragazza acconsentì al matrimonio, tesi sostenuta anche dall'imam che aveva celebrato il rito nuziale. Imankulov è stato condannato a 6 anni di carcere, una delle condanne più severe mai applicate finora per l’Ala kachuu.

La maggior parte dei quasi 6 milioni di abitanti del Kirghizistan vive in aree rurali, spesso all'interno di organizzazioni di natura tribale. In questo contesto, il sequestro a scopo di matrimonio è visto come una tradizione; ma ormai i rapimenti sono diffusi ovunque, compresa la capitale, Biškek. Per Gazbubu Babayarova, fondatore del Kyz Korgon Institute, organizzazione non governativa che si batte per eliminare l’Ala kachuu, “tra il 68 e il 75 per cento dei matrimoni in Kyrgyzstan avvengono con il rapimento della sposa”. Secondo Babayarova, la povertà è una delle molte ragioni alla base dell’aumento dei sequestri: in questo modo – sostiene l'attivista – le famiglie eviterebbero di pagare la dote e le spese per le nozze. Ma c’è anche un’altra spiegazione. “A volte gli uomini hanno paura a chiedere la mano delle ragazze – precisa Babayarova – e pensano che sia più facile rapirle, perché temono il loro rifiuto”. “Due amici del villaggio sono venuti da me chiedendomi di aiutarli a rapire una ragazza che conoscevano”, spiega un giovane. “Ho cercato di convincerli di non farlo. Gli ho detto: ʻCosa fareste se fosse vostra sorella?’”.

Dal 2013, una legge del Kirghizistan punisce il rapimento a scopo di matrimonio con una pena fino a 10 anni di prigione. Ciò nonostante, il numero di sequestri non è diminuito e sono pochissimi i casi che arrivano davanti al giudice. Il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (Cedaw) in un rapporto del 2015 si è detto “profondamente preoccupato per il fatto che il rapimento della sposa sembra essere socialmente legittimato e circondato da una cultura di silenzio e impunità e che i casi di sequestro rimangono sottostimati”. Negli ultimi anni, però, la società civile ha intensificato gli sforzi per combattere l'Ala kachuu. A battersi con maggiore forza è la più giovane parlamentare del Kirghizistan, Aida Kasymalieva.

Secondo la deputata, l’effetto della legge è limitato a causa dell’atteggiamento della società: “Anche se la ragazza trova la forza di scappare la notte del rapimento… alla stazione di polizia le potrebbero dire che è colpa sua”. Ainuru Altybaeva, altra parlamentare kirghisa, racconta di aver incontrato resistenze da parte di alcuni suoi colleghi uomini. Per un nutrito gruppo di deputati “il rapimento della sposa è una bella tradizione nazionale”. “Qui le famiglie si accordano per sposare le loro figlie quando hanno 14 o 15 anni – puntualizza Kasymalieva – vanno da un imam, registrano il matrimonio ed è fatta. Se le donne divorziano, se qualcosa va storto, vengono abbandonate senza nulla”. E mentre il Paese a timidi passi cerca di contrastare il fenomeno dell'Ala kachuu, ogni giorno migliaia di donne kirghise devono stare in guardia per non essere rapite e “sposate” contro la loro volontà.

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