Che il TG1 sia da tempo oggetto di furiose discussioni a causa della gestione a dir poco "particolare" del direttore Augusto Minzolini è cosa pacifica ed acclarata. Così come abbastanza evidente è la responsabilità del "direttorissimo" relativamente al calo degli ascolti e alla perdita di credibilità di quella che una volta era la più autorevole e seguita fonte di informazione degli italiani. Il Tg1 invece annaspa da tempo, tra "panini", ricostruzioni faziose, omissioni (in)volontarie e lapsus clamorosi, epurazioni e dubbi ricambi redazionali, interviste "in ginocchio" ed impaginazioni quantomeno rivedibili dal punto di vista editoriale.
Una situazione cui certamente ha contribuito anche la particolare condizione del servizio pubblico radiotelevisivo italiano (che sconta le pecche della lottizzazione, del clientelismo, del nepotismo e via discorrendo), ma che ha nel direttore della testata giornalistica il principale responsabile. E sono infatti in molti a sostenere che Minzolini, bersagliato certo da critiche feroci e coinvolto in più di un'inchiesta giudiziaria (va detto, senza ricevere condanne di sorta), non potrebbe dunque esimersi da una valutazione di merito, riconoscendo i limiti della sua direzione e soprattutto rivedendo alcune scelte editoriali che francamente lasciano interdetti anche molti sostenitori dell'attuale maggioranza. Invece il direttorissimo tira dritto per la sua strada, riuscendo finanche, editoriale dopo editoriale, a "superare a destra" la stessa linea del Governo su questioni centrali nella vita politica italiana. Gli esempi nel corso degli anni si sprecano, ma noi vogliamo solo sottoporre alla vostra attenzione l'ultimo, per certi versi incredibile editoriale, realizzato nel giorno della verifica parlamentare alla Camera:
MINZOLINI AL TG1
L'editoriale del direttore sulla verifica di Governo
Tralasciando le grossolane considerazioni che associano in un unico periodo il referendum, le amministrative e la verifica di Governo, quasi si trattasse di tre ostacoli saltati a piè pari dal Cavaliere (e non tre diversi aspetti di un tramonto inesorabile), oppure la granitica sicurezza con cui parla di 1 miliardo di euro speso in intercettazioni telefoniche ("are you serious" direbbero negli States), quello che appare evidente è l'inusitata forzatura della deontologia professionale, della correttezza formale e finanche del buonsenso. In questo caso siamo oltre lo "schierarsi", siamo oltre il "prendere posizione" e siamo fianche oltre il tanto sbandierato "uso privatistico della televisione di Stato" (va ricordato che Minzolini è stato più volte oggetto di imbarazzanti, per lui chiaramente, intercettazioni telefoniche).
Un editoriale dovrebbe offrire chiavi di lettura interessanti, spunti di discussione di alto spessore ma di grande correttezza sostanziale, ma soprattutto dovrebbe essere costruito con spirito critico e speculativo sulla realtà, sul sistema, assolvendo a quella funzione di "sentinella della democrazia" che un organo di stampa, a maggior ragione del servizio pubblico, non può mai abbandonare. Ed è per questo, al di là del merito e della sostanza, che gli editoriali di Minzolini non piacciono, non convincono, non interessano e finanche stupiscono, irritano, provocando dissensi e critiche feroci (basta farsi un giro dei social network, dei blog, dei giornali indipendenti). Insomma, parafrasando un "altro" (ex) giornalista del servizio pubblico: Chi pagherebbe di tasca propria per ascoltare Minzolini?