Cella zero, l’associazione Antigone: “Il sistema Poggioreale può alimentare episodi di violenza”
Circa settanta denunce alla Procura di Napoli per i maltrattamenti in carcere e ombre sulla presenza della cella zero per i pestaggi: tra smentite e allusioni, si infittisce la rete di sospetti intorno al carcere di Poggioreale. La prima inchiesta, condotta dal procuratore Vincenzo Piscitelli, è partita alcuni mesi fa, dopo la denuncia del presidente dell'associazione degli ex detenuti napoletani, Pietro Ioia. La seconda inchiesta, condotta dal pm Alfonso D'Avino, è partita alcuni giorni dopo il servizio di Fanpage.it sui presunti pestaggi e la cella zero. Secondo alcune delle oltre 50 testimonianze raccolte dalla Garante dei Detenuti Adriana Tocco, la cella zero sarebbe una stanza vuota, senza videosorveglianza, sporca di sangue sulle pareti, dove si consumerebbero i pestaggi da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Circostanze, queste, tutte da verificare. Anche Rita Bernardini, segretario dei Radicali, è stata ascoltata dalla Digos di Napoli nel 2013, dopo un'ispezione durante la quale almeno tre detenuti le avevano chiesto aiuto e denunciato pestaggi nella cella zero.
"Siamo preoccupati. Alla magistratura chiediamo di chiudere presto le indagini". Non usa giri di parole Mario Barone, presidente di Antigone Campania, l'associazione che tutela i diritti dei detenuti, che sgombra subito il campo da dubbi e aggiunge: "Noi crediamo nel principio della responsabilità penale individuale. Detto questo, però, bisogna aprire una riflessione sul carcere di Poggioreale". Per come è congegnato, spiega il presidente, "può alimentare episodi di violenza portati avanti da singoli individui".
Per rendere meglio l'idea delle disumane condizioni di detenzione, descritte dettagliatamente nel Rapporto 2013 dell'associazione intitolato non a caso "L'Europa ci guarda", Barone mette i dati sul piatto: 2800 detenuti su una capienza regolamentare di 1400, meno di tre metri quadrati di spazio vitale a testa, due ore d'aria. Formazione? Neanche a parlarne. Al lavoro sono destinati solo 200 detenuti, né ci sono attività di risocializzazione. Pochi gli educatori; i detenuti si trovano ristretti in 3 metri quadrati di spazio per 22 ore al giorno. "Un sistema come questo – sottolinea il presidente di Antigone – Può essere retto da una sola parola d'ordine: sicurezza". Una logica securitaria che può trascendere, trasformarsi pericolosamente.
Secondo alcune denunce, nella presunta cella zero mancherebbe la videsorveglianza: basterebbe, dunque, introdurla anche dove non c'è? "E' un argomento delicato – ribatte Barone – Che implicitamente si rifà ai cosiddetti ‘non luoghi' istituzionali; dei territori di confine che si sottraggono al controllo di legittimità". Il presidente di Antigone ricorda poi il tragico epilogo del G8 e di Bolzaneto, circostanza definita dalla Cassazione come "sospensione dello stato di diritto". E quello del carcere di Asti, nel quale alcuni agenti penitenziari accusati di aver usato violenza contro i detenuti non sono stati condannati perché in Italia non esiste il reato di tortura. Insomma, per Barone il problema è innanzi tutto culturale. Si tratta di risposte che dovrebbero dare le istituzioni e la società tutta.
A proposito di mancate risposte dalle istituzioni, Barone ricorda che otto mesi fa ha riscontrato una inquietante anomalia all'interno del penitenziario napoletano: durante un'ispezione, numerosi detenuti si trovavano in celle di isolamento. "Domandai per quale motivo fossero lì e non mi venne data risposta". E' stata presentata anche un'interrogazione parlamentare su questa circostanza, a firma di Luisa Bossa, parlamentare del Pd. "Sono passati otto mesi – conclude Barone – Ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta dal ministro della Giustizia".