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Opinioni

Cdp: fondo sovrano o gigante dai piedi d’argilla?

Il governo sembra puntare sempre più su Cdp come “fondo sovrano”, ma le ultime operazioni in cui è stata coinvolta la Cassa destano più di una perplessità se solo si analizzano razionalmente le modalità (e in qualche caso i primi esiti) delle stesse…
A cura di Luca Spoldi
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Cassa depositi e prestiti (Cdp) sempre più al centro dei giochi e degli intrecci politico-economici del paese, quasi una novella Mediobanca impegnata a giocare a fare l’Iri (si spera senza doversi svegliare trasformata in un Efim). La partecipazione nel fondo “salva bancheAtlante, la cessione di Metroweb al gruppo Enel, l’acquisizione della quota di controllo (35%) di Poste Italiane sono solo le ultime operazioni “strategiche” che vedono il governo indossare il cappello tanto del venditore quanto dell’acquirente, senza per ora che organi di informazione o analisti (con sparute eccezioni) abbiano evidenziato alcun qualche potenziale conflitto d’interessi o punti di debolezza.

Eppure la strategia economica che si vorrebbe dietro queste scelte miranti a trasformare Cdp in un “fondo sovrano”, mostra non poche zone d’ombra se solo le si volesse analizzare. Partiamo dall’acquisizione di una partecipazione in Saipem, tramite Fsi, pari al 12,5%: l’operazione è risultata proficua per Eni che ha incassato 463 milioni di euro e ha potuto de consolidare Saipem, visto che la sua quota nel capitale dell’ex controllata si è ridotta al 40,42%, ma certo non ha fatto bene a Cdp, che partecipando all’infausto (per gli azionisti di minoranza) aumento di capitale da 3,5 miliardi ha dovuto sborsare altri 437 milioni portando a 900 milioni tonti il suo investimento, che stasera però vale 480 milioni, pari a una perdita di 420 milioni ossia del 46,67% rispetto all’investimento.

La quota nel fondo Atlante è invece stata pari a 500 milioni, su 4,25 miliardi raccolti, e come andrà a finire lo si saprà solo tra cinque anni (salvo che il fondo non venga prorogato di anno in anno per altri tre anni, come già previsto nello statuto) ma dopo il primo investimento nell’aumento di capitale di BpVi, col fondo divenuto socio al 99,33% dell’istituto vicentino dietro versamento di 1,5 miliardi ci vorrà come minimo un re-rating del comparto bancario per sperare di tener fede agli obiettivi prefissati, tra cui un “rendimento circa del 6% per anno”.

La cessione ad Enel di Metroweb (46,2% “in pancia” a Cdp, 53,8% a F2i, fondo partecipato al 14% dalla stessa Cdp che nel 2008 ha anche dato vita a Enel Stoccaggi, joint venture con Enel in cui F2i è socio al 49%) porterà nel complesso ad incassare 806 milioni di euro (contro gli 814 che offriva Telecom Italia), da versare in contanti o in parte in contanti e in parte in azioni di Enel Open Fiber, in cui la stessa Enel intende comunque rimanere azionista di maggioranza almeno inizialmente. Ipotizzando un mix al 50% in contanti e al 50% in titoli, a Cdp finirebbero 216,5 milioni e il 53,73% della partecipazione in Enel Open Fiber, che dovrà ora scontrarsi con Telecom Italia nel settore della connessione a banda ultralarga attraverso la rete elettrica.

Un’iniziativa, peraltro, che molti analisti giudicano rischiosa in termini di sostenibilità finanziaria (occorrerà investire 2,5 miliardi per collegare le 224 maggiori città italiane) e di concorrenza che Enel Open Fiber, che dovrebbe svolgere un ruolo da grossista di connettività, affittando la sua infrastruttura a singoli gestori come Vodafone e Wind. Il tutto col rischio che lo sviluppo di altre tecnologie come il Wi-Fi faccia venire in tutto o in parte meno la domanda potenziale di banda ultralarga tramite rete fissa e con qualche perplessità legata al fatto che il Tesoro resta l’azionista di controllo di Enel col 23,5% del capitale: insomma, non proprio un’iniziativa “market friendly” dai rischi al momento non esattamente calcolabili a fronte di benefici certi (l’incasso di qualche centinaia di milioni di euro) tutto sommato modesti.

Ultima ma non per importanza, l’acquisizione del controllo di Poste Italiane (che con Poste Vita ha a sua volta sottoscritto il fondo Atlante per 240 milioni di euro), destinato ad avvenire tramite un aumento di capitale riservato da 2,93 miliardi di euro che il Tesoro sottoscriverà, salendo così dall’80,1% all’85% nell’azionariato di Cdp, tramite la cessione del 35% di Poste Italiane. Si noti che il restante 29,7% di Poste Italiane verrà collocato “successivamente” sul mercato e che gli analisti di Icbpi ipotizzano possa avvenire in tempi molto rapidi, “nonostante l’elevata volatilità attesa nel mese di giugno”.

Piccolo inciso: sarà un caso che giudizi positivi sono arrivati subito da Equita Sim (advisor finanziario del venditore) e che l’advisor finanziario dell’acquirente sia stata Goldman Sachs, di cui l’attuale presidente di Cdp, Claudio Costamagna, è stato per molti anni un top manager prima in Italia e poi in Europa? A pensar male si fa peccato, ma se Mediobanca (da cui pure è giunto un giudizio positivo sull'operazione) dovesse andare a guidare il futuro consorzio di collocamento del 29,7% di Poste Italiane, forse i dubbi potrebbero trovare qualche legittimazione.

La finalità dell’operazione sarebbe stata il rafforzamento patrimoniale di Cdp, come ha sottolineato in un tweet la giornalista Carlotta Scozzari, ma i conti non tornano: il 35% di Poste Italiane vale stasera 3.129 milioni e se viene conferito in cambio del 5% di Cdp (valutato 2.930 milioni circa) significa che il Tesoro ha concesso uno “sconto” sulla valutazione di mercato di Poste di 199 milioni (il 6,36% delle quotazioni correnti). Il rafforzamento patrimoniale è quindi limitato a scarsi 200 milioni, meno della metà subita solo con l’investimento in Saipem, per il resto trattandosi dell’ennesimo investimento “strutturale” di Cdp (che già controlla il 29,85% di Terna e il 30,10% di Snam nel settore delle infrastrutture di rete).

Insomma: la sensazione che, come notava tempo fa Mario Seminerio la Cdp più che un “fondo sovrano” resti un gigante coi piedi d’argilla permane. Il fatto che a Cdp faccia capo la gestione di risorse raccolte attraverso il risparmio postale oltre a generare un potenziale conflitto d’interesse nei confronti della neo-controllata Poste Italiane, fa sì che gli investitori ultimi che attraverso il gruppo Cdp si ritrovano ad avere capitali investiti in operazioni più o meno fruttifere o rischiose siano i piccoli risparmiatori italiani che investono in buoni fruttiferi e libretti postali. Siamo sicuri che siano tutti in grado di sopportare il rischio che si cela dietro tali strumenti apparentemente “privi di rischio”?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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