Il 2014 si sta chiudendo avendo deluso gran parte delle attese, specialmente per quanto riguarda una ripartenza dell’economia europea ed italiana. Ma cosa ci riserva il 2015? Ho avuto modo di parlarne in questi giorni con l’amico e collega Carlo Alberto Carnevale Maffè, professor di Strategia e Imprenditorialità presso la Scuola di direzione aziendale (Sda) Bocconi, oltre che professore a contratto di Strategia e Politica Aziendale presso la stessa Università Bocconi, da anni specializzatosi nello studio delle strategie di innovazione tecnologica, della competitive intelligence e delle strategie non competitive e internazionali nonché consulente aziendale tra i più apprezzati in Italia.
Il punto nodale resta, per Carnevale Maffè, l’inadempienza della Bce al suo statuto, “che non parla di congelare i prezzi ma di mantenerli appena al di sotto di un incremento annuo del 2%”. La fissazione tedesca anti-inflazionistica sta finendo col far deragliare l’economia di mezzo continente e questo non è dovuto soltanto, sottolinea l’esperto, ai ritardi accumulati in tema di riforme strutturali da paesi del Sud Europa come Grecia, Spagna, Portogallo o Italia, bensì anche all’atteggiamento opportunistico del governo tedesco che da un lato ha sfruttato per anni l’unione monetaria per far crescere le proprie esportazioni spostando sulle spalle delle banche centrali (e in definitiva dei contribuenti) del Sud Europa il rischio di transazione, dall’altro blocca ogni tentativo di far ripartire la ripresa debellando la deflazione sempre più radicata anche piazzando “strategicamente” i propri rappresentanti ai vertici dei centri decisionali comunitari.
In questo modo Berlino tiene in mano sia la leva fiscale (dettando tempi e modi del “fiscal compact” così da difendere i propri interessi prima e sopra quelli di tutti gli altri partner europei) sia quella creditizia (anche la presidente del neonato Meccanismo unico di risoluzione, o Srm, che avrà il potere di imporre procedure di “bail in” nel caso di future crisi bancarie, è una rappresentante tedesca). Mario Draghi dovrebbe a questo punto osare il tutto per tutto e far partire quanto prima un programma di “quantitative easing” che faccia ripartire una modesta inflazione, sulla quale, si noti, sono stati elaborati in questi anni migliaia di business plan che al momento risultano sempre meno realizzabili con tutte le conseguenze del caso (anche per il contemporaneo deleveraging e per la stretta sul credito che prosegue in paesi come l’Italia agendo da ulteriore freno alla ripresa). O mettere sul tavolo le sue dimissioni, così da riportare al centro del dibattito politico la questione.
Al di là di quanto accadrà ai vertici della Bce, nel 2015 i riflettori rimarranno puntati sul comparto creditizio, se non altro perché dopo gli stress test e l’Asset quality review compiuti dalla Bce quest’anno nei prossimi mesi dovrebbe registrarsi un’accelerazione di quel processo di ristrutturazione e concentrazione del settore bancario di cui da anni si parla in Europa ma che si è finora sempre rinviato per le pesanti conseguenze in termini occupazionali che rischia di avere e quindi per le ricadute politiche che comporterebbe. Ma proprio l’immobilismo della politica europea ha finito col far crescere in tutta Europa le posizioni anti-euro e anti-Ue, come dimostra la crescita della Lega Nord in Italia o quella di Syriza in Grecia, oltre che del Fronte Nazionale in Francia.
Così il 2015 in un modo o nell’altro dovrebbe rivelarsi quello che il 2014 non è stato, l’anno del “o la và o la spacca”, con le oltre 6 mila banche europee che, potenzialmente, potrebbero ridursi a non più di un 10% nei prossimi anni se si guardasse solo all’aspetto funzionale. Non succederà tutto in una volta e forse non succederà affatto in questa misura, ma è chiaro che dato che specialmente in Italia e in Germania la “popolazione” di banche è sovrabbondante rispetto alle esigenze del mercato (mentre in altri paesi come l’Olanda il settore si è già ristrutturato da alcuni anni), per di più con istituti-fotocopia che hanno sostanzialmente investito più in asset tangibili (reti di sportelli) e intangibili (marchi) che non in processi e funzioni e pertanto rischiano di non avere alcun “valore aggiunto” da poter vantare per rimanere sul mercato in modo autonomo, un processo di consolidamento a livello nazionale e transnazionale è inevitabile ed ogni suo rinvio ulteriore è destinato a pesare sulle tasche dei contribuenti dei singoli paesi.
Non sarà un caso, del resto, se Mps proprio in questi giorni è tornato a perdere sensibilmente valore in borsa, oscillando attorno alla metà dei livelli, già modesti, toccati un anno fa di questi tempi. L’istituto senese, tra i più antichi d’Europa, ha bisogno di aumentare entro il prossimo luglio il capitale di altri 2,5 miliardi, deve trovare un partner ed è destinato a subire ancora per molti trimestri l’impatto negativo delle sofferenze su crediti (ha appena ceduto “pro soluto e in blocco” un portafoglio di 380 milioni di euro nominali di crediti in sofferenza al gruppo Fortress con un impatto della vendita sul conto economico e sullo stato patrimoniale di Mps definito “non significativo” a fronte di benefici amministrativi e gestionali definiti “rilevanti”) essendo particolarmente esposto a Pmi italiane che più di altre continuano a soffrire la crisi economica.
Mps non è l’unico né il peggior esempio nel panorama bancario europeo e molto si potrebbe e dovrebbe scrivere di analoghe o peggiori situazioni esistenti ad esemnpio in Germania, sia a livello di grandi istituti come Commerzbank sia di piccole e piccolissime landesbanken. Ma in Germania i tassi restano vicino allo zero anche in termini reali oltre che nominali, l’offerta di credito è sovrabbondante rispetto ai possibili impieghi e, appunto, i rischi molto più modesti grazie alla “redistribuzione” dei rischi (ai partner europei) rispetto agli utili (ad aziende e banche tedesche) avvenuta nel corso degli anni. L’economia e la finanza non sono il regno di ciò che si dovrebbe e sarebbe giusto e bello fare, ma di ciò che è più conveniente fare, così Mps rischia di pagare il conto anche per molti suoi concorrenti europei.