Allungamento dei tempi della giustizia
Uno dei problemi del sistema processuale civile italiano è quello dei tempi dei singoli procedimenti.
Per ridurre i tempi della giustizia si è cercato
- di attuare una serie infinita di modifiche al codice di rito
- di aumentare il numero dei magistrati
- di trovare soluzioni "conciliative"
- di sanzionare (oppure, quanto meno, disincentivare liti temerarie)
Liti attive o passive manifestamente infondate e dovere professionale di dissuasione dalla lite
La riduzione dei tempi processuali dipende anche dal controllo sulle liti, in particolare dipende anche dall'esigenza di eliminare liti palesemente infondate, in questo mod si cerca di prevenire l'ingolfamento del sistema e, quindi, si cerca di evitare il conseguente aumento dei tempi processuali.
Per raggiungere questo risultato il sistema ha usato due strade:
- la prima strada preventiva è quella di imporre a carico dell'avvocato l'obbligo di dissuasione della lite in forma scritta (a pena di risarcimento del danno a carico del professionista)
- la seconda strada successiva all'esisto del procedimento è quella diretta a sanzionare, risarcendo la controparte, per le liti c.d. infondate o temerarie
Liti attive o passive temerarie ex art. 96 cpc
Il codice di procedura civile regola espressamente la responsabilità processuale aggravata derivante dalla lite temerarie.
L'art. 96 comma 1 e 2 cpc (introdotti fin dal 1942) stabiliscono che se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. (Il secondo comma dell'art. 96 cpc ha ad oggetto alcuni provvedimenti specific e l'esecuzione forzata).
Il terzo comma dell'art. 96 cpc (introdotto nel 2009) stabilisce che, in ogni caso, il giudice quando pronuncia sulle spese ex articolo 91 cpc, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
Natura giuridica della responsabilità processuale aggravata ex art. 96 cpc
Il disposto dell'art. 96 cpc impone di individuare la natura giuridica dell'istituto, in altri termini, occorre valutare se si è in presenza di un unica fattispecie (una particolare responsabilità extracontrattuale) oppure di due norme che hanno ad oggetto presupposti diversi i primi due commi dell'art. 96 cpc (un risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale) il terzo comma dell'art. 96 cpc (una sanzione di ordine pubblico per non aver tenuto un determinato comportamento).
L'individuazione del carattere risarcitorio o sanzionatorio incide anche sui presupposti necessari per l'applicazione dell'art. 96 cpc
Le differenze tra il 1 e 2 comma dell'art. 96 cpc e il 3 comma dell'art. 96 cpc
La fattispecie di cui al terzo comma dell'art. 96 cpc, sebbene segua nel testo della disposizione e sotto il medesimo titolo le due originarie forme di "responsabilità aggravata", in realtà differisce del tutto da queste ultime per presupposti e per funzione.
Il 1 e 2 comma dell'art. 96 cpc e la condanna risarcitoria
I primi due commi, infatti, configurano due fattispecie di responsabilità di natura risarcitoria, che si inquadrano concettualmente nel genus della responsabilità aquiliana o per fatti illeciti.
In particolare, il primo comma dell'art. 96 cod. proc. civ. detta la "regola generale" il secondo comma prevede poi alcune "ipotesi speciali" di responsabilità processuale, che il codificatore ha ritenuto opportuno disciplinare separatamente per il fatto di riguardare talune condotte processuali (ma non solo) che, per la loro particolare "aggressività", sono potenzialmente in grado di cagionare più grave danno a chi li subisce, sanzionandole più severamente col richiedere, ai fini del risarcimento del danno, non più che la parte abbia agito con mala fede o colpa grave, ma solo che abbia agito «senza la comune prudenza».
Si tratta di due figurae iuris che assolvono indubbiamente funzione risarcitoria e che si inquadrano nella responsabilità extracontrattuale per violazione del precetto generale del "neminem laedere"; esse, attenendo alla condotta processuale della parte (soccombente), costituiscono "figure speciali" della più generale fattispecie della responsabilità per fatto illecito prevista dall'art. 2043 cod. civ.
Presupposti per l'applicazione della condanna risarcitoria ex art. 96 comma 1 e 2 cpc
Coerentemente con la loro natura risarcitoria, le figure di responsabilità aggravata previste nei primi due commi dell'art. 96 cpc sono ancorate alla domanda della parte interessata, essendo esclusa la pronuncia d'ufficio; inoltre, la parte vittoriosa che assume di essere stata danneggiata dalla condotta processuale del soccombente ha l'onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti normativi della responsabilità della controparte, ossia la sussistenza dell'elemento "oggettivo" e di quello "soggettivo" della fattispecie.
Invero, per poter ottenere il risarcimento del danno, la parte vittoriosa deve, da un lato, allegare e provare l'esistenza e l'entità di un danno concreto ed effettivo patito nonché il nesso di causalità tra l'illecita condotta processuale del soccombente e il danno stesso; dall'altro, allegare e provare la sussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie, costituito, per la figura di cui al primo comma, dalla "mala fede" o dalla "colpa grave" e, per la fattispecie di cui al secondo comma, dalla mancanza di "normale prudenza".
Si comprende bene come, in presenza di fattispecie di responsabilità aggravata così costruite, che impongono alla parte vittoriosa oneri probatori così gravosi, le figure di responsabilità aggravata previste nei primi due commi dell'art. 96 cod. proc. civ. abbiano avuto e abbiano – nella pratica – un'applicazione molto limitata.
La responsabilità processuale aggravata ex art. 96 comma 3 cpc
A fronte delle difficoltà applicative, il legislatore è intervenuto configurando, col terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., introdotto dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 (art. 45, comma 12), una nuova figura di responsabilità aggravata.
Con la nuova disposizione, il legislatore del 2009 ha inteso generalizzare ed estendere ad ogni grado di giudizio la possibilità per il giudice di reprimere l'abuso del processo con una condanna di tipo sanzionatorio in favore della parte vittoriosa.
La fattispecie di cui all'art. 96 terzo comma cpc è una figura iuris evidentemente estranea alla responsabilità aquiliana.
Finalità e ratio dell'art. 96 comma e cpc
La norma configura una "sanzione di ordine pubblico", dettata, con finalità di deflazione del contenzioso, nell'interesse pubblico alla repressione dell'abuso del processo e di quelle condotte processuali che determinano una violazione delle regole del giusto processo e della sua ragionevole durata.
Con l'istituto previsto nell'art. 96 terzo comma cod. proc. civ., il legislatore ha inteso affidare al giudice uno strumento per reprimere, nell'interesse generale della collettività, il c.d. "abuso del processo"; abuso che ricorre quando lo strumento processuale viene piegato a finalità devianti rispetto alla "tutela dei diritti e degli interessi legittimi" per il quale l'art. 24, primo comma, Cost. garantisce il ricorso al giudice.
Questa visione dell'istituto, è stata fatta propria dalla Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 152 del 2016 ha rilevato che l'art. 96 comma 3 cpc ha natura non tanto risarcitoria del danno cagionato alla controparte dalla proposizione di una lite temeraria, quanto più propriamente sanzionatoria delle condotte di quanti, abusando del diritto di azione e di difesa, si servano dello strumento processuale a fini dilatori, aggravando il volume del contenzioso; ciò – secondo il giudice delle leggi – è confermato, sul piano testuale, dal riferimento al "pagamento di una somma", che segna una netta differenza terminologica rispetto al "risarcimento dei danni" di cui ai precedenti commi del medesimo articolo, e dall'adottabilità della condanna "anche d'ufficio", che la sottrae all'impulso di parte e ne attesta la finalizzazione alla tutela di un interesse trascendente quello della parte stessa e colorato di connotati pubblicistici.
La stessa Corte costituzionale non ha mancato di osservare che la motivazione che ha indotto il legislatore a porre a favore della controparte la condanna del soccombente è plausibilmente ricollegabile all'obiettivo di assicurare una maggiore effettività ed una più incisiva efficacia deterrente allo strumento deflattivo, sul verosimile presupposto che la parte vittoriosa possa provvedere alla riscossione in tempi e con oneri inferiori a quelli gravanti su un soggetto pubblico; osservando poi che l'istituto così modulato è suscettibile di rispondere anche ad una concorrente finalità indennitaria nei confronti della parte vittoriosa (pregiudicata da un'ingiustificata chiamata in giudizio) nelle non infrequenti ipotesi in cui sia per essa difficile provare, ai fini del risarcimento per lite temeraria, l'an o il quantum del danno subito.
Presupposti per l'applicazione della condanna sanzionatoria ex art. 96 comma 3 cpc
La fattispecie di cui all'art. 96 terzo comma non prevede più alcun elemento soggettivo, quale suo elemento costitutivo; non è più richiesto cioè, ai fini della condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata, che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio "con colpa grave".
Infatti, l'inciso «In ogni caso», che apre il testo della disposizione e che, secondo corretti canoni interpretativi, non può che significare "al di fuori di quanto previsto dai commi che precedono", ossia a prescindere dai presupposti richiesti dai primi due commi dell'art. 96 cod. proc. civ.
La stessa previsione, contenuta nell'art. 96 terzo comma cod. proc. civ., che vuole che il giudice pronunci condanna «quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91», se da un lato implica che vi sia stata condanna del soccombente all'integrale pagamento delle spese processuali e che non vi siano state ragioni per compensarle (neanche in parte), lascia intendere, dall'altro, l'applicabilità della disposizione a tutte le ipotesi di soccombenza, a prescindere da ogni valutazione circa la mala fede o la colpa grave della parte.
In definitiva, deve ritenersi che, col terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ., il legislatore ha voluto configurare non già una fattispecie ancillare rispetto alle figure risarcitorie previste nei primi due commi dell'art. 96 cod. proc. civ., ma una figura di responsabilità indipendente e autonoma, che prevede una "sanzione di carattere pubblicistico", priva di natura risarcitoria, destinata a reprimere la parte soccombente che abbia fatto "abuso" dello strumento processuale.
Il rafforzamento della repressione dell'abuso del processo si è manifestato nella scelta legislativa di sopprimere l'elemento soggettivo della fattispecie.
Il giudice, nell'applicare l'art. 96 terzo comma cod. proc. civ., non è più tenuto a svolgere complessi – quanto delicati – apprezzamenti sulla colposità e negligenza della condotta della parte e del suo difensore. Egli – invece – deve limitarsi a valutare "oggettivamente" la sussistenza di un "abuso del processo", quale emerge dagli atti processuali e dal loro contenuto.
Cumulabilità delle condanne risarcitoria ex art. 96 comma 1 e 2 cpc e sanzionatoria ex art. 96 comma 3 cpc
Naturalmente, dalla diversa natura delle fattispecie previste dai primi due commi dell'art. 96 cod. proc. civ. rispetto alla fattispecie prevista dal terzo comma, discende – come ha ritenuto la dottrina – la cumulabilità delle condanne (quella al risarcimento del danno ex art. 96, primo o secondo comma; e quella al pagamento di "una somma equitativamente determinata" ex art. 96, terzo comma).
Potere del giudice nella condanna sanzionatoria ex art. 96 comma 3 cpc
Il nuovo istituto affida al giudice il più ampio potere discrezionale, che – tuttavia – deve essere esercitato con la dovuta ragionevolezza.
Se non occorre che il giudice accerti che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con "mala fede" o con "colpa grave" (art. 96, primo comma) o "senza la normale prudenza" (art. 92 secondo comma), ciò non significa – naturalmente – che la mera infondatezza della domanda o della difesa possa comportare responsabilità ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Il fatto che non sia più necessario l'accertamento di un profilo soggettivo di responsabilità significa semplicemente che il giudice, nel verificare la sussistenza delle condizioni per pronunciare condanna ex art. 96 terzo comma, deve prescindere dal compiere alcuna indagine sulla sussistenza dell'elemento psicologico colposo: la condanna può essere pronunciata ogni volta che "oggettivamente" risulti che si è agito o resistito in giudizio in modo pretestuoso, con abuso dello strumento processuale.
Incorrono, perciò, in responsabilità per abuso del processo coloro che abbiano proposto domande od eccezioni o formulato difese macroscopicamente inammissibili o manifestamente infondate vuoi sotto il profilo giuridico (in quanto proposte in totale ed evidente carenza dei presupposti previsti dalla legge) vuoi sotto il profilo fattuale (allegando, ad es., fatti di cui si accerti la manifesta falsità).
Tra costoro vi saranno certamente parti che hanno agito o resistito in giudizio con "mala fede" o con "colpa grave" o "senza la normale prudenza"; ma il giudizio che il giudice è chiamato a formulare attiene alla condotta processuale nella sua "oggettività", e non all'atteggiamento psicologico – di mala fede o di negligenza più o meno grave – della parte.
Quantum della condanna sanzionatoria ex art. 96 comma 3 cpc
La norma affida al giudice un'ampia discrezionalità anche nella determinazione dell'importo della sanzione.
Nessun limite quantitativo – né massimo, né minimo – è previsto dal terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ.
Il giudice, tuttavia, nella determinazione della sanzione deve osservare il "criterio equitativo", potendo la sanzione essere calibrata anche sull'importo delle spese processuali o su un loro multiplo, e non può – in nessun caso – superare il limite della "ragionevolezza".
Cass., civ. sez. II, del 21 novembre 2017, n. 27623