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Opinioni

Capitalismo italico, si avvicina la svolta

Restaurazione o rivoluzione? dopo il passaggio di mano di Impregilo, le difficoltà di Bpm, l’aumento sofferto di Rcs, il “modello Mediobanca” che ha finora sostenuto il capitalismo familiare italiano sembra al test decisivo…
A cura di Luca Spoldi
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Nella infinita lotta tra chi è al vertice e vuole mantenere il potere e godere delle rendite di posizione accumulate e chi è alla base della piramide economico/politica/sociale e vorrebbe cambiare tutto, per cercare di arrivare in cima, da qualche tempo in Italia si sta assistendo a un silenzioso ribilanciamento, che potrebbe nei prossimi mesi accelerare clamorosamente (o bloccarsi nuovamente). Quasi in sordina, infatti, il vecchio “modello Mediobanca”, quello di Enrico Cuccia, per decenni deus ex machina della banca d’affari milanese un tempo partecipata dalle tre ex “bin” (banche di interesse nazionale), Comit (poi fagocitata in Intesa Sanpaolo), Credit e Banca di Roma (entrambe finite a far parte del gruppo UniCredit), sta continuando a perdere pezzi.

All’inizio si è trattato di salvataggi riusciti meno bene di altri in precedenza ma che hanno conservato il ruolo degli azionisti di controllo, come nel caso di Pininfarina, storica azienda piemontese del comparto automobilistico quasi fallita (il primo trimestre dell’anno si è chiuso con un Ebitda, ossia un risultato operativo lordo, negativo di 900 mila euro, in recupero rispetto ai 2,8 milioni di euro di perdita di un anno prima ma non abbastanza da evitare un risultato netto negativo per 3,4 milioni contro un rosso di 3,1 milioni a fine marzo 2012) al punto da dover riscadenziare il proprio debito bancario (due volte, l’ultima a inizio dello scorso anno ha “spalmato” il debito in scadenza a fine 2015 sino al 2018).

Poi è stata la volta di salvataggi sofferti in cui dopo aver a lungo offerto linee di credito direttamente o tramite altre banche (UniCredit in testa) Mediobanca ha deciso di chiudere i cordoni della borsa e procedere ad una cessione ad un gruppo “amico”, come nel caso dell’ex impero Ligresti, girato a Unipol (compagnia bolognese con la quale Piazzetta Cuccia aveva da tempo rapporti d’affari). Infine sono arrivate le sconfitte più o meno brucianti, da Impregilo (dove i Gavio hanno dovuto passare la mano ai Salini) a Rcs MediaGroup, che continua a bruciare capitali e dove anche un azionista importante (13% diretto, 16,3% contando anche i titoli oggetto di un contratto di opzione di acquisto e di vendita col Banco Popolare) come Giuseppe Rotelli, “re” delle cliniche milanesi dal 2000 (quando rilevò le cliniche Galeazzi, Madonnina e Citt fino ad allora in mano ai Ligresti), da tempo alle prese con gravi problemi di salute, ha preferito declinare l’invito a sborsare nuovi quattrini, accettando di farsi diluire al 4,5% dopo aver bruciato nell’avventura quasi 390 milioni di euro.

Unica alternativa potrebbe essere, per Rotelli, un accordo con altri soci, quali in particolare Diego Della Valle, che pure non è estraneo al “sistema Mediobanca” ma che negli ultimi anni ha preso a criticarlo apertamente. Il tutto senza dimenticare che in precedenza dall’aumento si erano già defilati (accettando la pesante diluizione, che per chi non parteciperà all’operazione risulterà pari al 75%: quasi un “haircut” della partecipazione, a livelli di default tecnico) i Benetton, i Merloni e persino Generali, come Rcs altra “provincia storica” di Piazzetta Cuccia, nel cui capitale peraltro Mediobanca dovrà scendere entro la soglia del 10% per rispettare le nuove regole internazionali in materia di investimenti delle banche e di indici patrimoniali. Il che “rischia” di rendere realmente autonomo il management da poco rinnovato ai vertici del Leone, tanto più che il nuovo numero uno, Mario Greco, non ha fatto mistero di voler disimpegnare la compagnia da tutte le partecipazioni “non strategiche” accumulatesi nel corso dei decenni, molte delle quali strumentali alla strategia della controllante meneghina.

In mezzo anche i successi parziali sono sembrati meno brillanti del dovuto, come nel caso di Chebanca!, il nuovo istituto diretto alla cui guida era stato chiamato Christian Miccoli, artefice delle fortune italiane di Rasbank prima e ING Direct poi, o come l’ingresso di Andrea Bonomi (Investindustrial) in Bpm, di cui il figlio Carlo Bonomi (compagno di studi di Roberto Mazzotta, già deputato democristiano, ex numero uno di Cariplo e poi della stessa Bpm) nonché nipote di Anna Bonomi Bolchini (la “signora della finanza italiana” degli anni Settanta) è divenuto presidente. Nel primo caso Miccoli è da due mesi stato sostituito alla guida dell’istituto da Gianluca Sichel (finora amministratore delegato di Compass, controllata di Mediobanca specializzata nel credito al consumo) si dice a causa di uno sviluppo inferiore alle attese, nel secondo Bonomi (sostenuto da Mediobanca) ha incontrato finora non poche difficoltà nel tentativo di aggiornare la governance di un istituto dove il potere dei soci-dipendenti e dei soci-pensionati resta, a giudizio di Banca d’Italia, eccessivo e fonte di distorsioni nello sviluppo efficiente dell’attività creditizia.

Al di là dei singoli casi si respira in questi mesi in Italia la sensazione che, complice anche la crisi che ha ridotto al lumicino le rendite di cui potevano godere molti dei protagonisti della scena economico-finanziaria tricolore ed il credit crunch che ha seccato molte fonti di rifinanziamento, i vecchi “salotti buoni” del capitalismo italiano, ricco di relazioni “familiari” e povero di denaro, stiano sul punto di cadere a pezzi. E forse una spallata decisiva potrebbe venire dalle future mosse di Silvio Berlusconi (sempre lui!), che dopo aver preso il posto che fu di Giovanni Agnelli nel “ghota” delle grandi famiglie del capitalismo italico (con tanto di ingresso nel novero dei soci principali di Mediobanca) rischia grosso sul fronte giudiziario e se continuerà la crisi economica anche sul fronte aziendale, coi conti di Mediaset che per ammissione dello stesso presidente, Fedele Confalonieri, stanno andando male, “in particolare nei primi quattro mesi dell’anno”. Sarebbe forse l’ultimo e definitivo terremoto, con conseguenze al momento non immaginabili su più fronti, da quello politico a quello economico.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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