Una confusione del genere difficilmente si era vista nella recente storia repubblicana. A soli 5 giorni dal voto sui 4 (forse) quesiti del referendum, sono ancora tanti i fronti aperti e le criticità tecniche e regolamentari. Ovviamente la prima tessera del complicatissimo e fin qui poco comprensibile mosaico del voto referendario è rappresentata dal controverso decreto omnibus, con la cosiddetta "seria pausa di riflessione" che di fatto sembrava rendere inutile il quesito sul nucleare. Che quella del Governo però non fosse una scelta sostanziale, ma piuttosto una sorta di "time out" in attesa che si rischiarasse il cielo sopra Fukushima, era stato però del resto abbastanza chiaro fin da subito (e manifestato anche da più o meno improvvide dichiarazioni di autorevoli esponenti della maggioranza).
Una interpretazione recepita anche dalla Corte di Cassazione che nella sentenza di qualche giorno fa aveva sottolineato come nel mutato quadro normativo alle norme abrogate se ne sovrapponevano altre completamente differenti in tema di politica energetica e comunque strettamente connesse al tema del nucleare. In sostanza e senza troppi giri di parole: il quesito va riscritto e agli elettori bisogna chiedere un parere in tema di "strategia" energetica. Ecco in effetti come dovrebbe essere il nuovo quesito:
Dove il comma 1 riguarda proprio la sospensione della costruzione delle nuove centrali: “Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”. Mentre il comma 8 è riferito alla Strategia energetica nazionale e più nel dettaglio: “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei ministri, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali”.
Tutto chiaro? No, anzi. Già, perchè nel "pasticciccio brutto" così confezionato, dovrebbe essere evidente che in effetti il si sulla scheda equivarrebbe all'abrogazione della sospensione della costruzione di nuove centrali. Insomma, un clamoroso autogol? Non proprio, anzi secondo alcuni giuristi decisamente no. Infatti, questo "paradosso" per il quale votando si potremmo dare il via libera alle nuove centrali e addirittura vietare al Governo la progettazione di un nuovo piano energetico basato sulle rinnovabili, è l'ennesima soluzione di compromesso che, oltre a far rabbrividire alcuni autorevoli giuristi, consente ai promotori del referendum di dormire sonni "relativamente" tranquilli. Già, perchè come sottolineato a "Il Fatto" anche da Alberto Lucarelli costituzionalista impegnato sul fronte referendario: “Lo spirito del comitato promotore prevale sull’aspetto formalistico. La Cassazione ha riconosciuto che quella del governo era una ‘leggina’ a carattere sospensivo”. Dunque, i milioni di si al quesito dovrebbero chiudere definitivamente la contesa, dal momento che si tratterebbe di una "volontà sostanziale" del popolo italiano di rinunciare all'energia nucleare.
Tutti d'accordo? Neanche per sogno, con alcuni distinguo scontati (dal fronte governativo) ed altri inattesi, come quello di Augusto Barbera, costituzionalista di area centrosinistra che in una recente intervista ha fornito un'altra chiave di lettura: "Ipotizzo che la Cassazione si sia basata sulle intenzioni del governo. Però in questi casi si procede in base alle norme scritte e approvate dalle Camere, non in base a dichiarazioni d’intenti”.
Insomma, una situazione di grande confusione sulla quale incide anche la "grana – estero". Infatti la riformulazione del quesito si scontra con la constatazione che le operazioni di voto degli italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE richiedono tempi tecnici estremamente lunghi. Se già la ristampa e la nuova distribuzione di oltre 50 milioni di schede richiederà la massima celerità da parte delle strutture ministeriali, praticamente impossibile si rivelerebbe annullare le schede già votate dagli italiani all'estero e procedere ad una nuova distribuzione. In ballo vi sono circa 3 milioni di voti che potrebbero tra l'altro influire in maniera determinante sul raggiungimento o meno del quorum. Allo studio dunque l'ennesima "soluzione alternativa", con i voti sulle vecchie schede che potrebbero essere comunque considerati validi, oppure con l'ipotesi (più remota) di non conteggiare tali elettori ai fini del quorum. Insomma, la questione potrebbe trascinarsi anche dopo il 13 giugno, con una coda polemica che certamente contribuirà ad alzare ancora il livello dello scontro politico. Per ora, non ci resta che limitarci ad osservare l'ennesimo, paradossale pasticcio all'italiana.