Può sembrare una parziale sconfitta quella della Cgil, che si è vista cancellare dalla Consulta la proposta di referendum per reintrodurre l’articolo 18 nelle aziende, e quindi la possibilità più ampia dei reintegri in caso di licenziamento (come prima del Jobs Act). È invece successo qualcosa di diverso, che ridisegna la strada dei possibili – le date sono ancora da definire e potrebbero anche saltare – referendum sul lavoro chiesti dalla Cgil.
Già, perché con la cancellazione del quesito più importante, quello sull’articolo 18, ora l’attenzione passa ai due quesiti rimasti e per cui si potrebbe votare nella prossima primavera: abolizione dei voucher e responsabilità dei lavoratori negli appalti. In particolare ora l’attenzione è tutta sui voucher, la forma più precaria di lavoro, che in pochi mesi potrebbe non esistere più.
Si diceva, la decisione della Consulta ha ridisegnato la questione. Perché mentre con il reintegro dell’articolo 18 la battaglia era una di quella fondanti dei sindacati, e ben comprensibile dallo zoccolo duro dei suoi iscritti over 50 – posto fisso, tutele, reintegro – ora si ragiona su tutt’altro. Ora abbiamo il sindacato più grande del paese che ha raccolto più di tre 3 milioni di firme per permettere che si vada a votare per abolire il lavoro più precario che c’è.
È un momento di importanza storica, è finalmente una mossa concreta, decisiva perché la Cgil si impegni a difesa dei giovani e dei precari. Un sindacato composto principalmente da over 50 e pensionati, che si sta impegnando in prima linea a difesa di qualcosa che non tocca direttamente molti dei suoi iscritti, ma quel mondo dei giovani precarissimi che lavorano saltuariamente per poche lire senza assunzione, tutele e malattie (ma in diversi settori, come i call center, e in tante realtà locali la Cgil ha fatto molto per i precari).
In breve, col voucher si tratta di lavorare occasionalmente in cambio di ticket di 10 euro di cui un quarto, 2.50 euro, va all’Inps. Il lavoratore dunque percepirebbe 7.50 l’ora netti, cifra bassina a cui si aggiungono altri problemi. Anzitutto, non dà diritto ad alcune tutele, ma in cambio di un lavoro super flessibile un quarto della somma va automaticamente all’Inps. È una contribuzione troppo alta, vicina a quella della partite Iva giovani, e sembra davvero un furto per chi si trova a fare il fattorino o il cameriere in cambio di poche centinaia di euro.
Poi, c’è l’enorme problema del lavoro nero. Nonostante quanto sostenuto a più riprese dal governo, non esiste alcuno strumento per evitare che questi voucher siano un grande strumento di pagamento illegale. È troppo semplice fare lavorare un cameriere, un commesso, un fattorino in nero per 9 ore e pagarne una con il voucher per coprirsi le spalle in caso di controlli. A scapito della “tracciabilità” introdotta dal governo, servirebbero controlli a tappeto per fermare gli abusi, gli stessi che da troppi anni servirebbero per fermare l’abuso delle finte partite Iva e dei contratti a chiamata.
Ma non c’è personale, fondi, forze adeguate nei sindacati, negli ispettorati del lavoro, nelle forze dell’ordine per fare sì che questo possa accadere. Chi opera nel mondo del lavoro italiano questo lo sa bene. Per questo le continue liberalizzazioni dello strumento del voucher avvenute negli scorsi anni – ad opera di Berlusconi, poi Monti, Letta e infine Renzi – sono solo servite e fare sì che uno strumento che doveva rimanere confinato a piccole nicchie di lavoro sia diventato un “golem” fuori controllo dello sfruttamento più becero in tutti i campi.
Chi lavora con il voucher in Italia? “Abbiamo chiesto all'Inps quali sono i principali utilizzatori di voucher ma ci ha detto che è impossibile saperlo”, ha spiegato il leader della Cgil Susanna Camusso. Tuttavia, possiamo fare riferimento a qualche dato. I settori principalmente colpiti dall’utilizzo massivo di voucher sono turismo, commercio, servizi e sport. Le regioni che ne fanno più utilizzo sono Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte – alla faccia del mito del lavoro nero al sud Italia.
Dopo le tante riforme, il problema creato da Renzi è stato principalmente avere portato limite massimo da 5.000 a 7.000 euro l’anno, aprendo così la porta all’utilizzo continuativo per tutto il corso dell’anno del pagamento a voucher. Già, perché se un datore di lavoro impiega un cameriere o un commesso col voucher part-time a 500 euro al mese lordi, e gli altri soldi sono pagati in nero, ecco che con 7.000 euro si riesce a fare lavorare una persona fino a 12 mesi.
Di che persone parliamo quando parliamo di voucheristi? Parliamo di camerieri e baristi, receptionist e tutti i lavoratori del turismo, ristoranti, alberghi e stabilimenti balneari. Parliamo dei lavoratori del commercio, e quindi della realtà dei supermercati già macchiata da condizioni dure di lavoro come più volte riportato su Fanpage.it. Parliamo di fattorini e facchini della new economy digitale, parliamo purtroppo anche di chi svolge servizi presso enti locali della pubblica amministrazione.
Ora, sappiamo che questi voucher sono cresciuti tanto negli ultimi 2 anni a seguito delle riforme, sono cresciuti troppo. Nel 2016 si sono venduti 121.5 milioni di euro di voucher, secondo quanto riporta l’Inps. “Il loro utilizzo è aumentato del 27mila per cento”, spiega Susanna Camusso, probabilmente riferendosi alla somma della crescita complessiva negli ultimi 8 anni. Nel 2016 l’incremento sull’anno precedente è stato del 32% ma già nel 2015 questi erano aumentati del 67%. È sotto gli occhi di tutti che l’utilizzo di questo strumento è ormai fuori controllo.
Il governo non ha fatto nulla contro questa degenerazione dei voucher negli ultimi anni. Il ministro del lavoro Giuliano Poletti, di cui conosciamo bene le posizioni sui giovani del paese, ha ripetuto per mesi che non esiste possibilità alcuna che i voucher si cancellino. È stata anche la posizione dell’avvocatura di Stato nelle sue motivazioni alla Consulta per fermare il referendum sui voucher, che poi però è stato approvato. L’avvocatura, infatti, ha sostenuto come principale motivazione per fermare il referendum contro i voucher il fatto che: “potrebbe determinare un vuoto normativo nell’istituto del lavoro accessorio”.
E il punto è proprio questo, la battaglia politica, sindacale e contrattuale contro il lavoro accessorio. Perché i giovani e chiunque vive una situazione di sfruttamento e precariato non ne può più delle continue liberalizzazioni ai contratti che alla fine producono – nell’arco di pochissimi mesi – situazioni devastanti di lavoro che si traducono in danni sociali irreparabili. Pensate solo agli anni di contributi persi da tutte queste persone, alle malattie e alle ferie perse, alla continua situazione di mobbing che queste persone vivono, ai danni psicologici, all'impossibilità a comprare casa, accedere a un muto, a mettere da parte qualcosa, a crearsi una vita.
I famosi sentimenti anti establishment che da Trump alla Brexit stanno dominando le cronache del mondo, nascono proprio da questo: dalla deregolamentazione incontrollata di lavoro e welfare che si traduce in povertà e sfiducia. A cui non esistono risposte, referenti e soluzioni. Ma ora, grazie alla Cgil e anche un po’ casualmente con l’abolizione del quesito sull’articolo 18, ci ritroviamo in un paese di 60 milioni di persone in cui per la prima volta un sindacato tradizionale si è messo in prima linea per combattere la forma più dura di precariato.
E questo gli altri sindacati non l’hanno capito. Annamaria Furlan, leader della Cisl ha detto: “Il referendum non è lo strumento migliore per la legislazione del lavoro”, mentre Carmelo Barbaglio della Uil pensa che: “Per noi la strada è la contrattazione”. Si sbagliano di grosso. Perché nel momento in cui il governo ha smesso di trattare con le parti sociali è proprio con le campagne che bisogna rispondere. Nel momento in cui la maggior parte della popolazione è sempre più lontana dalla politica sono proprio i referendum la risposta alla rabbia e alla paura.
Il voucher ora ha tutti i numeri per diventare la battaglia politica dei nostri tempi. I sindacati la devono fare propria, la sinistra la deve sostenere, i movimenti anti establishment hanno l’opportunità di ottenere qualcosa di concreto. Ma certo, questo non può bastare. Perché come è successo coi contratti a progetto, abolire i voucher non toglie il problema del precariato. Ma questa campagna referendaria, ammesso che si vada a referendum, è comunque importantissima perché rappresenta l’inizio di nuove politiche per tornare a condizioni dignitose di lavoro per i giovani.
Per dire una volta per tutte basta al precariato, alla flessibilità, alla ricchezza per pochissimi e la povertà per tutti. È questa, la battaglia politica più importante dei nostri tempi.