Camorra, parla il pentito Iovine: “Erano gli imprenditori a cercarci per primi”
Ha detto di aver “commesso tanti omicidi”. Così tanti che “non li ricordo tutti" . Ma ora "ho iniziato la collaborazione per avere un futuro migliore, per dare una svolta alla mia vita". Con queste parole ha cominciato il suo racconto ai giudici il superboss del clan dei Casalesi Antonio Iovine, dal 13 maggio pentito. E’ stato sentito in teleconferenza (da una località segreta) al processo davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) in cui è imputato, tra gli altri, l’ex sindaco di Villa Literno (Caserta) Enrico Fabozzi. O’ Ninno ha ricostruito il sistema di gestione degli appalti nel Casertano e i rapporti con gli imprenditori: "All'inizio noi non li cercavamo; aspettavamo che fossero loro, gli imprenditori, a fare i primi passi per gli appalti, dopo di che li interpellavamo. Poi furono loro a scegliere noi: ognuno cercava un riferimento con qualcuno di noi".
Il boss pentito: "Potevo contare su 100 mila euro al mese per gli stipendi"
L'ex boss dei Casalesi ha raccontato al pm Antonello Ardituro che ogni mese poteva contare su 100 mila euro per pagare gli ‘stipendi' ai suoi affiliati, oltre che per soddisfare le esigenze personali. Parte dei quei soldi finivano alle famiglie dei camorristi incarcerati; qualcosa in più andava a quelli detenuti in regime di carcere duro. Il sistema, ha spiegato, si incrinò nel 2010 dopo la sentenza di appello Spartacus, quando il clan subì una scissione. Iovine ha descritto anche il rapporto con le amministrazioni comunali: “Non ho mai avuto nessun tipo di problema per l’appartenenza politica dei sindaci; anzi, la posizione politica dei sindaci era per noi ininfluente”.
Iovine: "Così sono entrato nella camorra"
Nel corso della testimonianza, Iovine racconta anche la cerimonia con la quale entrò a far parte del clan dei casalesi. "Fui affiliato al clan dei casalesi con la pungitura nel 1985, lo stesso giorno dell'omicidio Di Nuvoletta. Ad affiliarmi – spiega – furono Antonio Bardellino e Vincenzo De Falco. Mi punsero un dito e fecero cadere alcune gocce di sangue su un santino. Pronunciai un giuramento le cui parole esatte non ricordo, ma nel quale mi impegnavo a non tradire il clan".