In precedenza si è visto quanto è difficile poter scegliere il tipo di provvedimento amministrativo necessario per l'esecuzione di determinate opere edilizie (qui l'articolo).
Le difficoltà presenti nel diritto urbanistico sono notevoli, soprattutto quando si segue un procedimento lineare e logico, ma queste possono aumentare se si segue un iter logico "contorto" come nel caso in cui prima si chiede una D.i.a. per il cambio di destinazione d'uso di un bene senza opere e poi si chiede una (seconda) D.i.a. per l'esecuzione di opere di ristrutturazione, di fatto, dirette ad adeguare all'immobile alla nuova destinazione d'uso. Ammettendo, che senza l'esecuzione delle opere non era possibile destinare l'immobile al nuovo uso.
Invertire il "procedimento" edilizio (e/o amministrativo) usuale oppure "separare", "scindere" le opere edilizie dal cambio d'uso, non è un mezzo utilizzabile dal privato per ottenere un (diverso) prevvedimento amministrativo (eventualmente) più "semplice", in quanto si sarebbe in presenza solo di un modo per aggirare la normativa.
Consiglio di Stato sez. IV, del 4 dicembre 2012 n. 6190
3.3. Invero, risulta per tabulas che l’amministrazione comunale ricevette una prima denuncia di inizio di attività per mutamento di destinazione d’uso, senza opere edilizie, da “industriale” a “direzionale”( ai sensi dell’art. 8, comma 7, d.l. n. 310/1995, trattandosi della regolarizzazione di una situazione di fatto da tempo esistente) e che successivamente, comunicata al comune in data 23 settembre 19095 l’”ultimazione” di quanto richiesto, era stata inoltrata una nuova denuncia di inizio di attività per realizzare alcune opere di manutenzione straordinaria ed interne al fine di adeguare il fabbricato alle necessità dell’U.s.l.
Come è agevole riscontrare, già la stessa sequenza delle richieste risultava (quantomeno) anomala, in quanto invertita rispetto alla ordinaria consequenzialità logica: ciò perché presupponeva una circostanza, che l’amministrazione comunale non era in grado di conoscere, riposante nella circostanza che l’immobile predetto, sebbene conservasse la destinazione “produttiva”, già da tempo era stato adibito a sede amministrativa di uffici (id est: lo stesso utilizzo cui avrebbe adibito l’immobile medesimo l’aspirante locatario Usl). Ma v’è di più: come esattamente rilevato dal primo giudice, il cambio di destinazione d’uso dell’immobile de quo (già a destinazione industriale e successivamente divenuto sede di uffici dell’U.s.l.) si era realizzato a seguito di una serie di opere (descritte nell’allegato A al contratto preliminare di locazione tra la odierna appellante e la predetta U.s.l.) laddove le stesse parti negoziali –si veda art. 2 del contratto- avevano qualificato l’intervento come “ristrutturazione”. Tale “ristrutturazione” aveva ad oggetto il rifacimento di tutti gli impianti -elettrico, idrico-sanitario, riscaldamento-, la sistemazione di intonaci e pavimento, la demolizione di ripostigli e la rimozione di inferriate, l’installazione di divisori, la costruzione di due w.c. e la predisposizione di impianto tv e di condizionamento, eccetera, riferiti al piano seminterrato, al piano rialzato ed al piano primo dell’immobile.
In questo contesto l'amministrazione comunale non ebbe ad imporre alcuna (illegittima) “inversione dell’onere della prova”. Essa, al contrario, giovandosi di quanto portato a propria conoscenza dalla stessa appellante, paventò l’esistenza di una irregolarità, laddove dapprima si era comunicato il cambio di destinazione d’uso, e poi, la esecuzione di opere di ristrutturazione apparentemente connesse e finalizzate a realizzare proprio il cambio di destinazione d’uso già oggetto della prima d.i.a. Se errore vi fu, quindi (ammesso che tale possa essere ritenuto), esso era stata originato proprio dalla sequenzialità delle due denunce, e soprattutto, dalla autodichiarazione della futura esecuzione di opere di “ristrutturazione” ad opera dell’appellante. Data la situazione, il comune ebbe ad agire secondo i canoni della ordinaria diligenza, e del tutto correttamente, ad avviso del Collegio emise il provvedimento sospensivo contenente la richiesta istruttoria per cui è causa.
4. Alla doglianza è stata dedicata ampia parte del tessuto motivazionale dell’appellata decisione (ultima parte del capo I, che di seguito si riporta per esteso di seguito: “in merito agli altri motivi dedotti, non si ravvisa la violazione delle norme citate. Infatti, l’art. 8, commi 7, del d.l. n. 310/95, in base al quale il mutamento di destinazione d’uso senza opere a ciò preordinate è oggetto di d.i.a., esige la duplice condizione che si tratti mero cambio di destinazione funzionale e che esista la regolamentazione di cui all’art. 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47; il comma 8, secondo cui l’esecuzione delle opere di cui al comma 7 non è subordinata alla corresponsione dei contributi di cui alla legge n. 10/ 77, si riferisce alle opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo -che non determinano cambio di destinazione-, ma non agli interventi di ristrutturazione -o, comunque, a quelli idonei a determinare un mutamento di destinazione d’uso-. Nel dubitare della autonomia e del mancato collegamento tra le due dichiarazioni di inizio di attività, il comune non ha violato le disposizioni invocate, le quali richiedevano, per la loro immediata applicabilità nella fattispecie, l’accertamento di requisiti e condizioni i quali, anzi, apparivano insussistenti sulla base della documentazione offerta dalla ricorrente. Sia pure a posteriori, in sede di rilascio della richiesta concessione edilizia, l’amministrazione comunale ha rilevato l’unitarietà dell’intervento e, con riguardo alla qualità ed all’insieme delle opere eseguite, lo ha ritenuto idoneo a portare ad un organismo edilizio diverso dal precedente. Invero, ai sensi dell’art. 7 l. 47/85, un organismo edilizio può essere qualificato diverso da quello concessionato anche per caratteristiche di utilizzazione e le opere che ciò abbiano comportato devono ritenersi eseguite in totale difformità -dalla concessione-.Un intervento siffatto non può che essere configurato come ristrutturazione, la quale, ai sensi dell’art. 9 della legge citata, richiedeva il rilascio della concessione edilizia. In ogni caso, l’intervento di che trattasi – che in mancanza di prova contraria si configurava come mutamento di destinazione mediante opere che superavano largamente la soglia delle mere opere interne – non era soggetto alla disciplina di cui all’art. 8 dei dd. ll. 310/95 e 400/95.”)