Calano ingressi in carcere per droga, ma a essere colpiti sono perlopiù i “pesci piccoli”
Nonostante i numeri siano in calo, le legislazioni sulla droga continuano a incidere sulle dinamiche della demografia penitenziaria italiana. Dei 45.823 ingressi in carcere avvenuti nel corso del 2015, 12.284 sono stati causati da imputazioni o condanne per droga, basate sull'articolo 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti che ne punisce la produzione, il traffico e la detenzione. Si tratta circa del 27% dei detenuti che sono entrati in carcere, circa uno su quattro. Al 31 dicembre 2015 le persone incarcerate a causa del medesimo articolo erano in tutto 16.712, il 32,03% del totale. Ciò significa che un detenuto su tre si trovava in cella perché imputato o condannato per l'articolo 73.
I dati sono contenuti nel VII Libro Bianco sulle droghe, presentato oggi da Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone e Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza. Il rapporto è il primo che indaga la situazione dopo la dichiarazione di incostituzinalità nel febbraio del 2014 della legge Fini-Giovanardi dopo otto anni di applicazione e il ritorno alla Iervolino-Vassalli. Dalla precedente analisi emergeva che la diminuzione dei detenuti avvenuta nel corso del 2014 (-9 mila) fosse dovuta al calo delle persone incarcerate per detenzione e spaccio di stupefacenti, scese di 5.500 unità. Il trend è confermato anche nel 2015, a conferma del peso sulla giustizia sul carcere della legislazione antidroga.
"Quando cresce la popolazione detenuta, è la legge sulla droga che guida le incarcerazioni; quando essa diminuisce è sempre la legge sulla droga che trascina al ribasso le incarcerazioni", si legge nel rapporto. Per avere una dimostrazione, basta guardare l'andamento del trend discendente delle presenze in carcere. Quando è iniziato, nel 2010, si è avuta una diminuzione del 23,24% della popolazione detenuta grazie al calo del 38,77% delle persone incarcerate a causa dell'articolo 73 del testo unico sulla droga. Tra il 2014 e il 2015 i reclusi sono scesi di 1.459 unità: una cifra che fa il paio con il fatto che i detenuti per detenzione e spaccio di stupefacenti sono diminuiti di 1.283 elementi. Proprio per questo motivo, spiega il Libro Bianco, "preoccupa la crescita della popolazione detenuta nei primi cinque mesi di quest’anno (1.709 detenuti in più), cui potrebbe corrispondere un aumento delle incarcerazioni per fatti di droga". D'altro canto, tra il 2014 e il 2015 sono diminuiti di 16.025 unità (circa il 9,17%) i procedimenti penali pendenti in materia di droghe. Un calo che potrebbe essere un primo effetto della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi.
"Rispetto a sette anni prima si sono più che dimezzati sia gli ingressi complessivi che quelli per violazione della normativa antidroga – si legge nel rapporto – Non si può non sottolineare l’effetto trainante avuto dal calo degli ingressi per violazione della normativa antidroga sulla diminuzione degli ingressi totali. Nonostante le buone occasioni sciupate dal legislatore per mettere mano al problema, la percentuale di ingressi ex art. 73 è la più bassa da 10 anni a questa parte, a testimonianza del fatto che la legge sulla droga guida i processi di carcerizzazione in Italia".
Dai dati contenuti nel rapporto si evince che oggetto del circuito repressivo sono per lo più i "pesci piccoli": delle 10.751 operazioni di polizia in materia di stupefacenti portate avanti lo scorso anno, il 56,31% del totale, più della metà, riguardano cannabinoidi. Al secondo posto c'è la cocaina, seguita da eroina e droghe sintetiche, che hanno visto aumentare del 54,46% le operazioni di contrasto delle forze di polizia, ma mantengono una quota percentuale nettamente minoritaria rispetto alle altre sostanze. I cannabinoidi costituiscono quindi, si legge nell'analisi, "il principale impiego (dispendio) di energie e risorse dell’apparato di polizia e giudiziario impegnato nella repressione penale della circolazione di sostanze stupefacenti illegali". Il 48,20% delle segnalazioni all'autorità giudiziaria, 13.360 persone, riguardano possesso di cannabinoidi; e solo 2.286 su 27.718 – appena l'8,25% – contestano l'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Ciò vuol dire che si tratta per lo più di detentori, dei quali non è neanche sospettata l’appartenenza a organizzazioni criminali implicate in traffici di droga.
Questo dato, si legge nel Libro Bianco, "testimonia l’orientamento repressivo della legge rivolto verso i ‘pesci piccoli', piuttosto che verso le associazioni criminali. Anzi, si può dire che in un certo senso le favorisca, ripulendo il mercato da tutti i possibili competitor meno esperti e mantenendo dunque una situazione di oligopolio che tiene alti i prezzi".
C'è da dire che il numero di persone segnalate alle prefetture per consumo di sostanze stupefacenti ha raggiunto lo scorso anno il risultato più basso negli ultimi nove anni: 27.718 persone. Un calo c'era già stato nel 2014, quando la cifra era stata di 31.272. Anche qui, però, sono i cannabinoidi a farla da padrone: ben 26.403 segnalazioni riguardano il consumo personale di questa sostanza, pari al 78,99% del totale. Dall'entrata in vigore della legge Iervolino-Vassalli nel 1990 in tutto sono state segnalate alle prefetture come consumatrici di stupefacenti 1.107.051 persone – delle quali il 72,23% (quasi 800mila) per detenzione di cannabinoidi. Nel rapporto si legge che nel 2015 "le segnalazioni al prefetto hanno dato luogo a 13.509 sanzioni amministrative e a 151 richieste di sottoposizione a programma terapeutico-riabilitativo, confermando la natura principalmente sanzionatoria della segnalazione al prefetto dei consumatori di sostanze stupefacenti" e la marginalità di una "vocazione terapeutica".