"Mediaticamente siamo morti. Siamo isolati, speriamo nei nostri elettori". Insomma, se non è la fine dell'Italia dei Valori poco ci manca. Dopo lo scandalo sollevato dall'inchiesta di Report, l'ufficio di presidenza del partito sembrava essere riuscito a trovare la quadra per andare avanti almeno fino alle prossime politiche: regole più severe per la scelta dei candidati, controllo serrato sui conti del partito, via il nome dell'ex magistrato dal simbolo e "seria discussione" sulla leadership politica. Un accordo però solo di facciata, che non è riuscito a mitigare il clima da "liberi tutti, si salvi chi può", che traspare dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa. A partire proprio dalle considerazioni dell'ex pm di Mani Pulite al Fattoquotidiano: "Qui a maggio andiamo a casa: non entriamo in Parlamento. La storia già la conosco. L’Italia dei Valori è finita domenica sera, a Report […] Combattiamo, ma sarà dura: porte sbarrate a sinistra, porte sbarrate ovunque. Siamo isolati, speriamo che i nostri elettori ci aiutino"
Poco dopo arrivava anche la stoccata di Massimo Donadi, capogruppo alla Camera e da tempo in rotta di collisione con Di Pietro: "E' come Berlusconi io con lui ho rotto definitivamente, con noi parlava di rilancio del partito, di date del congresso, poi va al Fattoquotidiano e dichiara sciolto il partito". Poi Borghesi (alla Discussione): "Dobbiamo andare verso una gestione più collegiale del nostro partito. Lo sappiamo che è di tipo leaderistico, ma è il momento di una fase congressuale". Infine (per il momento) le parole del senatore Pancho Pardi (al Mattino): "Se diciamo che è tutto finito, torniamo tutti a casa perché come siamo messi, in Parlamento non entreremo. Di Pietro deve avviare con chiarezza un processo di rinnovamento, senza aspettare il congresso".
Una resa dei conti, che però nasce da quello che è il vero problema interno dell'Italia dei Valori: la scelta delle alleanze e la piattaforma politica. Più che le inchieste e "le pecorelle smarrite" (aspetti sui quali si può lavorare), ad agitare le acque è la linea politica dell'ex pm: una lenta convergenza verso il Movimento 5 Stelle, con la rottura definitiva con il Partito Democratico e l'opposizione durissima al Governo Monti. Una scelta controversa, che va nella direzione opposta di chi, come il senatore Pardi, rivendica il ruolo di "cerniera" fra i movimenti ed il Partito Democratico. Un ruolo che negli ultimi anni l'IDV ha in effetti avuto, anche grazie al formidabile collante dell'antiberlusconismo, di cui Di Pietro è stato interprete legittimo ed "autorevole" (come riconosce anche Beppe Grillo). Il punto è che Tonino ha provato a replicare l'identico copione cambiando bersaglio: ma, evidentemente, l'antimontismo non poteva avere lo stesso "peso", sia in termini di credibilità politica che di consenso elettorale. Anche perché su quest'ultimo aspetto la concorrenza del Movimento 5 Stelle si è rivelata insostenibile per chi ha portato in Parlamento Razzi, Scilipoti e De Gregorio (al netto di ogni considerazione di carattere politico, sia chiaro). Una linea che non ha fatto altro che inasprire lo scontro con il Partito Democratico, che ha "approfittato" della violenza degli attacchi (a Napolitano e non solo) per recidere un legame che da un punto di vista strettamente numerico (come testimoniano i sondaggi elettorali) non è ritenuto necessario al raggiungimento della maggioranza assoluta alle prossime politiche.
Da qui l'isolamento politico che Di Pietro ha cercato di rompere ipotizzando il cosiddetto "fronte dei non allineati" al Governo Monti. Un'operazione fragile, che non ha trovato l'appoggio né di Sinistra e Libertà, né men che meno del Movimento 5 Stelle. Da lì il lento scivolamento del dibattito su beghe e contrasti interni e parallelamente l'annacquamento delle prospettive politiche, fino a pensare allo scioglimento del partito e ad una confluenza "morbida" nella casa di Grillo e Casaleggio. Solo un'ipotesi questa, peraltro rilanciata da molti commentatori che hanno visto nell'endorsement (privo ovviamente di concretezza) alla Presidenza della Repubblica da parte di Grillo e nella contemporanea dichiarazione di stima dell'ex pm le prove tecniche di un matrimonio "riservato" in vista delle politiche del 2013. Un finale che sinceramente non ci convince e che riteniamo altamente improbabile. Perché la favola dell'Italia dei Valori, più che con un matrimonio a 5 stelle, rischia di dissolversi come quella di un altro partito, quello dell'eterno rivale, del pericolo pubblico numero uno, della "causa primigenia" della sua stessa nascita.