C’era bisogno del reato di omicidio stradale?
Questo articolo è a cura del Dott. Francesco Marangolo, laureato in giurisprudenza Federico II, con tesi in procedura penale "la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello". In Italia, l'interesse prevalente è diretto all'ambito penalistico, a Londra collabora con studi anglo italiani e si occupa dei rapporti dei clienti Italiani con la pubblica amministrazione Inglese
Quando ci approcciamo ad una norma penale, la prima domanda che dovremmo porci è: da dove proviene?
È bene partire, difatti, da un presupposto chiaro, le norme – tutte, non solo quelle penali – nascono da chiare scelte politiche – in ambito penalistico, le scelte legislative sono, appunto, scelte di politica criminale. Non esiste nessuna norma divina, nessun principio di radicale tecnica giuridica che imponga le norme in quanto tali, e non come riflesso del tempo e del luogo. È il legislatore che crea la norma, ed è supposizione legittima che lo faccia esprimendo la maggioranza dei consociati.
Una seconda domanda dovuta, a questo punto, sarebbe: il legislatore ha dei limiti, o meglio ancora, dei principi direttivi da seguire? Ovviamente si, e questo è rafforzato in sistemi costituzionali; in tale ipotesi, la strada è tracciata da norme che si posizionano al di sopra dell'intero tessuto normativo, che dovrebbe essere pervaso dai principi costituzionali. E questo vale per tutte le norme, per quelle penali a maggior ragione. È proprio in questo settore, del resto, che abbiamo più bisogno di principi fermi a cui guardare di volta in volta. Il diritto penale è purtroppo terreno fertile per le campagne elettorali; la promessa giustizialista si alterna a quella garantista in modo tanto agevole quanto errato – finendo per essere giustizialista quando la migliore opzione – sempre secondo la costituzione – sarebbe quella garantista, e garantista quando, al contrario, un maggior rigore – sempre in ottica costituzionale – sarebbe dovuto.
Perché questa premesse? Perché, risulterà utilissima nell'analisi della nuova fattispecie introdotta all'art. 589 bis, rubricato " omicidio stradale".
La reazione dell'ordinamento ad un fenomeno drammatico come quello che la norma vorrebbe andare a ridurre, doveva esservi, ma si è scelta la strada più facile (perché meno articolata), ma anche meno funzionale – la deterrenza, per quanto congenita, non è la finalità principale che bisogna perseguire con la norma penale. La nostra costituzione ci impone una finalità specifica della normativa penale (tanto nel suo complesso quanto nella singola disposizione), ovvero una finalità rieducativa.
Solo repressione, nessuna prevenzione. Questa sembra essere stata la chiara scelta politica.
Primo elemento degno di nota, è la collocazione normativa: l'articolo, difatti, è posto immediatamente dopo quello relativo all'omicidio colposo, quasi a suggerirne il rapporto norma speciale – norma generale. Ed è forse proprio dalla fattispecie che punisce l'omicidio colposo che bisognerebbe partire; prima della norma oggetto di analisi, del resto, era mediante la suddetta fattispecie che venivano punite tali condotte.
La norma prevede che "chiunque cagioni la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro la reclusione è da due a sette anni.
Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se i fatto è commesso com violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
Soggetto in stato di ebrezza alcolica ai sensi dell'art 186, comma 2, lett. c), del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e successive modifiche; Soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nel caso di morte di più persone, o morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici".
Guardiamo ora la nuova normativa – limitandoci, anche qui, al caso del solo omicidio ed escludendo la fattispecie di "lesioni".
La nuova norma prevede: “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.
Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.
La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all'articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona.
Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La pena di cui al comma precedente si applica altresì:
1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell'autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto”.
A questo punto bisogna fare una precisazione: la differenza tra omicidio colposo ed omicidio colposo stradale era, come chiaro fin da subito, già prevista, dal secondo comma in poi dell'articolo sull'omicidio colposo (quindi un rapporto tra genere e specie vi era già). E come possiamo agevolmente notare, già in questa sede si era voluta forzare la mano, mostrando un atteggiamento più rigoroso rispetto all'omicidio colposo generale (punito con reclusione dai sei mesi ai cinque anni). Ad un atteggiamento chiaramente votato alla deterrenza come unico strumento disponibile, si sarebbe senz'altro preferita una scelta di maggiore prevenzione (da accompagnare, questo sì, ad un moderato inasprimento di pena per sottolineare la cura dedicata alla lotta del fenomeno in questione). Prevenzione essenziale tanto in materia di circolazione stradale quanto in tema di infortunistica sul luogo di lavoro (la cui violazione viene punita all'interno della stessa norma, appunto).
Tornando alla nuova fattispecie, questa presenta una pena base invariata – da due a sette anni di reclusione. Variano invece le ipotesi aggravate, che possiamo dividere in due gruppi: nel primo (le ipotesi più gravi) il conducente sotto effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope o in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore ad 1,5 grammi per litro, che abbia causato la morte, è punito con una pena da otto a dodici anni di reclusione; nel secondo gruppo (ipotesi più lievi), il conducente in stato di ebrezza con tasso alcolemico inferiore a 0,8 g/l, o colui che abbia causato la morte con una condotta caratterizzata da particolare pericolosità (alta velocità, passare con il rosso, inversioni di marcia in prossimità di intersezioni), è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Si prevede un aumento di pena in caso di guidatore senza patente, con patente revocata o sospesa e privo di assicurazione obbligatoria; una diminuzione di pena è previsto, al contrario, qualora l'evento non sia causato esclusivamente dalla sua condotta. La pena è aumentata sino al triplo in caso di un morto, ed una lesione, o più morti ed una o più lesioni; in questo caso il massimo edittale è fissato ad anni 18, mentre nel vigore della normativa precedente la reclusione massima era di quindici anni.
Quindi, il rigore già presente nell’originaria disciplina, è stato ulteriormente ampliato, con buona pace della prevenzione e rieducazione. Volendo approssimare due calcoli: l’ipotesi più grave prevede una pena sino ai 18 anni di reclusione (è sufficiente la morte di una persona ed una lesione di altra), in caso di fuga del conducente(art. 589 ter c.p.) la pena è aumentabile da un terzo a due terzi; come vediamo, non si può escludere a priori una pena che superi i vent’anni di reclusione per un omicidio colposo (la cui lesione al bene giuridico è gravissima, sia chiaro). Prendiamo ora il caso di omicidio doloso: la pena non può essere inferiore ad anni ventuno di reclusione (art. 575 c.p.), in caso di circostanze equivalenti e scelta del rito abbreviato il soggetto può aspirare ad una pena di quattordici anni di reclusione (la media italiana è di tredici anni di reclusione per omicidio volontario).
Questa piccola comparazione, forse, spiega meglio di ogni altra cosa le problematiche di questa nuova normativa.
Dott. Francesco Marangolo