Che l’Italia piaccia, non solo per i suoi paesaggi e le sue città d’arte o testimonianze storiche ma anche per i marchi e il know-how del “made in Italy” è cosa nota e se dovesse servirvi l’ennesima conferma in attesa dell’annuncio ufficiale del passaggio del controllo di Pininfarina al produttore indiano Mahindra & Mahindra (che si sta facendo attendere qualche giorno più del previsto, segno probabilmente che qualche creditore non è ancora stato convinto a dare il proprio assenso) potrebbe bastare la voce, che circola con insistenza sui mercati nonostante le prime smentite ufficiali, di un interesse della spagnola Cellnex ad acquisire una quota di Inwit, società cui sono state conferite le torri di trasmissione per telecomunicazioni di Telecom Italia (attualmente socia al 60%) e che è stata quotata sul listino di Milano tramite scorporo proprio dal titolo Telecom Italia lo scorso giugno, arrivando a capitalizzare 2,7 miliardi.
Cellnex, che capitalizza 3,5 miliardi di euro sul listino di Madrid, è controllata da una vecchia conoscenza del mondo degli affari italiano, quel gruppo Abertis che alcuni anni fa provò senza successo, per l’opposizione del governo italiano, a fondersi con il gruppo Autostrade (oggi Atlantia). In attesa di vedere se questa operazione andrà in porto e se comporterà o meno un’Offerta pubblica d’acquisto per ritirare il titolo dal listino italiano e a che prezzi (Inwit è stata collocata a 3,65 euro, ma stasera ha chiuso poco sopra i 4,35 euro, frenando leggermente rispetto a ieri), c’è un altro pezzo d’Italia che pare destinato a passare di mano, il marchio Peroni.
In realtà Peroni, che come azienda nacque a Vigevano (PV) nel 1846 per poi espandersi con stabilimenti a Roma, Bari, Napoli e Livorno acquisendo nel secondo dopoguerra una serie di marchi minori (Dormisch, Itala Pilsen, Faramia e Raffo e soprattutto Wührer, nel 1988), venne ceduta nel 2003 al gruppo anglo-sudafricano SABMiller, secondo produttore mondiale di birra che ha diffuso Peroni (e i suoi marchi come Nastro Azzurro, nato negli anni Sessanta come birra “premium”, e Tourtel, acquisito nel 2011) in tutto il mondo. Ora proprio SABMiller, un colosso che capitalizza in borsa 50 miliardi di sterline, ha ammesso di essere stata avvisata dalla rivale belga-statunitense Anheuser-Busch InBev dell’intenzione di quest’ultima di procedere ad un’offerta d’acquisto. Offerta, precisa SABMiller in una nota, che non è ancora stata formalizzata e potrebbe non materializzarsi, ma il mercato sembra pensarla diversamente.
Anheuser-Busch InBev è infatti il primo produttore mondiale di birra con marchi come Coors , Corona, Budweiser, Beck’s, Lowenbrau e Stella Artois, ma anche Leffe, Tennent’s, Labatt, Jupiler e Hoegaarden, mentre SABMiller, oltre a Peroni, possiede Pilsner Urquell, Bavaria, Foster’s, Miller e Grolsch, non essendo però riuscita lo scorso anno a mettere le mani sull’olandese Heineken. Dalla eventuale fusione dei due colossi nascerebbe un gruppo da 275 miliardi di dollari (250 miliardi di euro) di capitalizzazione, con 69 miliardi di dollari (61 miliardi di euro) di fatturato, pari a circa il 36% del fatturato mondiale del settore, e circa il 50% degli utili annui.
Qualcosa potrebbe però andare storto: anzitutto è la prima volta che Anheuser-Busch InBev si butta su una preda così grande, con una presenza in 80 mercati al mondo e questo può causare problemi di Antistrust, tanto che si parla già della possibile cessione del marchio americano Coors e della partecipazione nella cinese Snow. Poi nonostante le dimensioni e la parziale sovrapposizione geografica delle due aziende, gli analisti sembrano dubitare che si riescano a generare significative sinergie sui costi, prevedendo che gli stessi potrebbero essere tagliati post-fusione per l’equivalente di un 5%-7% rispetto alle vendite (mentre InBev quando acquisì Anheuser-Bush e in seguito la messicana Modelo riuscì a tagliare i costi di un 16%).
Infine non è detto che SABMiller non provi a sua volta a fondersi con un altro concorrente (circolano i nomi di Carlsberg e Diageo oltre che della stessa Heineken) per difendersi dall’assalto della rivale, che ancora non si sa se si trasformerà in un’offerta “amichevole” o diventerà “ostile”. Per l’Italia se dovesse andare in porto l’operazione le cose in realtà non cambierebbero molto, con Peroni destinata a rimanere in portafoglio e dunque sempre in mano a un gruppo straniero; tuttavia si vedrebbe un testa a testa tra il nuovo gruppo e Heineken Italia (che a fine 2013 controllava il 29% circa del mercato, contro poco più del 19% di Peroni e il 7% di AB InBev Italia) per la conquista della leadership nazionale. Uno scontro che potrebbe offrire qualche spazio anche ai produttori nazionali, forse.