L’accordo fra il Regno Unito e Bruxelles è passato: ora si cancellano i sussidi di disoccupazione per gli immigrati europei che vivono nell’UK. L’accordo raggiunto a Bruxelles, infatti ha accolto la richiesta che il governo inglese sospenda per un massimo di 7 anni i benefici di welfare connessi al lavoro per chi è cittadino comunitario. Un successo, per il governo di David Cameron, che ha fatto della battaglia all’immigrazione una bandiera della propria campagna elettorale.
Da domani, insomma, le condizioni di lavoro per chi si reca a lavorare nel Regno Unito saranno un po’ più difficili. Ma David Cameron potrebbe non fermarsi qui. Perché leggi durissime sono già state introdotte tre anni fa nei confronti dei cittadini non europei, ed entrano in vigore il prossimo aprile. Secondo il nuovo limite di reddito, infatti, gli immigrati non-UE – africani, americani, indiani, australiani – dovranno guadagnare almeno 35.000 sterline l’anno, cioè circa 45.000 euro, dopo aver trascorso 6 anni nel Regno Unito. Al di sotto di questo reddito c’è l’espulsione.
Questa legge, che entra in vigore fra poche settimane, causerà un disastro sociale: migliaia di persone che da anni risedono nel Regno Unito saranno costrette a lasciare il paese. Per questa ragione il cittadino inglese Josh Harbord ha lanciato qualche settimana fa la campagna: “Stop 35K”, con una petizione. In Inghilterra, se una petizione raccoglie 10.000 firme, il parlamento è obbligato a dare una risposta. Mentre oltre le 100.000 firme c’è la discussione alla camera.
Le 10.000 firme sono state raggiunte a gennaio e c’è già una risposta dell’Home Office britannico. Ma il 12 febbraio la petizione ha passato le 100.000 firme, ed ora il parlamento deve considerare un dibattito sul testo della petizione. “Non sorprende il fatto che la petizione abbia raggiunto 100mila firme”, spiega a Fanpage.it Shannon Marie Harm, fra i promotori della campagna, “È un problema enorme per il Regno Unito, che si troverà a perdere migliaia di lavoratori qualificati che hanno contribuito e vivono qui da anni”.
Shannon è americana, e anche lei si troverà fra poche settimane a dover affrontare le conseguenze del nuovo limite di reddito per chi possiede un visto “Tier 2” per lavoratori qualificati. Shannon è una produttrice digitale, e lavora in UK da sette anni: si era trasferita per studiare ad un Master of Science, e da allora ha lavorato per diversi editori. “Dovrò lasciare la mia comunità, i miei amici il mio fidanzato e come una visa da studente, quelle persone che ora consdero la mia famiglia”, scrive fra le diverse testimonianze raccolte sul sito della campagna.
Ma c’è anche la storia di Gillian, che è australiana e lavora come assistente di marketing. Gillian si è trasferita assieme ai genitori nel Regno Unito sette anni fa, ma ha dovuto farlo con un visto da studente perché aveva appena compiuto 18 anni. I genitori di Gillian conducono lavori ben remunerati, sua madre potrà chiedere la cittadinanza britannica quest’anno, mentre suo fratello l’ha già ottenuta. Ma nonostante lavori da anni e paghi le tasse in Inghilterra, ora Gillian potrebbe trovarsi a dover tornare in Austrialia dove non ha più una famiglia, né una casa. Perché guadagna meno di 45.000 euro l’anno.
Sono diverse le professioni che, anche dopo anni di esperienza, non permettono a una persona di raggiungere la cifra richiesta dal governo britannico per rimanere nel paese. Ad esempio il personale infermieristico, per cui il governo ha già dovuto provvedere una specifica esenzione che evitasse l’espulsione di migliaia di infermiere provenienti dal Sud America. Ma ci sono anche gli insegnanti, chi lavora nell’editoria, chi lavora nell’assistenza e nel volontariato per il non-profit. I musicisti e gli artisti.
Alyson, ad esempio, si è trasferita cinque anni fa a Londra dagli Stati Uniti, per studiare flauto alla Royal Academy of Music, uno dei conservatori più prestigiosi al mondo. Da allora, Alyson ha portato la sua professione di musicista verso il settore terapeutico. Nel 2014 ha aperto una organizzazione benefica di terapia musicale rivolta a minori vittime di guerra, dal nome “Play for progress”. Una iniziativa encomiabile e sperimentale, che però non le permette di guadagnare 45.000 euro l’anno. Perché purtroppo unisce la musica all’assistenza al non-profit: proprio quei settori danneggiati dalla nuova legge.
C’è poi il caso di Ola, scienziato biomedico proveniente dalla Nigeria. Ola ha cinque anni di esperienza nell’NHS, il servizio sanitario britannico, ma ora rischia di perdere il lavoro e l’esperienza maturata per dover reimpatriare in Nigeria, dove probabilmente non avrebbe l’opportunità di trovare una occupazione allo stesso livello di quello attuale. “Mi sono sentita usata”, commenta ola.
Nel mirino anche gli insegnanti. Kelly, un’altra delle storie presentate dalla campagna “Stop 35K”, è una insegnante americana che vive in Inghilterra da sette anni. “Ho pagato 56.000 sterline al sistema universitario inglese”, racconta Kelly, “E circa 108.000 sterline in affitti”. Kelly insegna già da sei anni. Ora dovrà abbandonare casa, lavoro, i suoi studenti e tutti gli amici di questi ultimi anni di vita. “Io insegno ai miei alunni ad amare e a d aiutarsi l’un l’altro. Il nostro governo insegna un’altra cosa”, conclude l’educatrice americana.
“Vogliamo incoraggiare il governo a fare maggiori ricerche ora che la petizione ha raggiunto 100mila firme”, spiega Shannon della campagna Stop 35K. “Devono stabilire un limite di reddito basato sul mercato, e non un divieto arbitrario”. Già, perché ora il Regno Unito potrebbe mandare a casa persone che hanno pagato centinaia di migliaia di sterline in tasse e tariffe universitarie, persone che hanno case, famiglie ed amici nel paese. Persone che hanno l’unica colpa di avere scelto carriere che non garantiscono grossi stipendi.
In questo modo si discrimina sulla base del reddito: chi è ricco può restare, e tutti gli altri fuori. Ma qualcosa di simile a un limite di reddito potrebbe arrivare anche per gli immigrati europei nei prossimi anni, ora che David Cameron ha già ottenuto una prima vittoria nei confronti dell’Unione Europea. E se fra un anno al referendum per uscire dall’UE vincerà il ‘SI’, non ci saranno più garanzie per tutti quegli italiani che cercano lavoro e opportunità nel Regno Unito.