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Breivik in tribunale: “Sì, lo farei di nuovo”

Si è aperta questa mattina la seconda giornata del processo all’autore delle stragi di Oslo e Utoya: la parola è andata ad Anders Breivik che si è nuovamente presentato alla corte facendo il saluto neonazista e che ha rivendicato la “spettacolarità” di quello che ha definito un “attacco politico”.
A cura di Nadia Vitali
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Si è presentato nuovamente così ai giovani sopravvissuti alla strage di Utoya e ai parenti delle 77 vittime, morte sull'isola norvegese e nell'attentato di Oslo: con quel saluto neonazista a simboleggiare, ancora una volta, la rivendicazione di un gesto compiuto «per legittima difesa» contro la politica laburista che minacciava «l'identità nazionale della Norvegia» con il vessillo del «multiculturalismo», «svendendo» il Paese all'Islam. Legittima difesa per la la quale chiede, dunque, l'assoluzione. Nel secondo giorno di processo a Anders Breivik la parola torna a quell'imputato dal volto fermo ed enigmatico che, ancora una volta, riprende a farneticare di «Cavalieri Templari» e «movimento di resistenza norvegese ed europea» di cui egli stesso sarebbe un rappresentante: e così, dinanzi ad un Tribunale e ad una Norvegia ancora sotto shock, quell'estremista di destra, che mai ha dato segnali di pentimento e che risveglia i peggiori incubi mai sopiti eredità diretta del XX secolo, ha continuato a parlare.

«Si, lo farei di nuovo». «Ho portato a termine il più spettacolare attacco politico mai commesso in Europa sin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale». Sono solo tra le più significative affermazioni di Breivik di questa seconda giornata di processo durante la quale il fanatico ci ha anche tenuto a specificare di essere ispirato da Dio. In molti osserveranno, dentro e fuori dai confini nazionali norvegesi, come un comportamento di questo genere possa essere ritenuto offensivo per i familiari delle vittime e come questi possano avere il legittimo timore che Breivik si serva della sua facoltà di parlare per fare la propria personale arringa di difesa: ma, come ha spiegato un suo legale, la possibilità di spiegare le proprie ragioni «è un diritto fondamentale per la legge norvegese». Un diritto che, evidentemente, lo stesso Breivik non riconosce a giudicare dalle sue dichiarazioni a proposito dell'eventualità del carcere, un'ipotesi a cui guarda come ad un'aspirazione perché «morire per il mio popolo sarebbe il più grande onore». «Non sono spaventato dalla prospettiva di stare in prigione per il resto della mia vita. Sono nato in una prigione… una prigione chiamata Norvegia». Intanto, tra gesti e frasi al limite tra xenofobia ed esoterismo (come del resto, accadeva anche con il nazismo), Breivik dimostra di avere un ottimo rapporto con fotografi e giornalisti a cui rivolge volentieri il proprio volto per farsi bersagliare di flash.

«La pena di morte era l'unica soluzione buona per questo caso»: era un commento postato sul sito di un tabloid norvegese, a pochi giorni di distanza dalle stragi da Thomas Indreboe, giudice popolare che, assieme ad altri due colleghi scelti dalla società civile e a due giudici professionisti, avrebbe dovuto presiedere la Corte. Un post che sta costando una momentanea battuta d'arresto per il processo, dal momento che è stata chiesta una sospensione della seduta per verificare l'effettiva competenza di Indreboe. Il processo dovrebbe durare una decina di settimane: al termine si stabilirà se Anders Berivik ha agito nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali o se deve essere ritenuto mentalmente incapace di intendere e di volere.

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