Bossi e Maroni: le due facce della medaglia leghista
Dopo a votazione sulla richiesta d'arresto per Nicola Cosentino, l'aria in casa Lega si fa sempre più pesante. E la spaccatura è dietro l'angolo. Il delfino Roberto Maroni non ha gradito per nulla la linea del partito, quella della libertà di coscienza: "Non ho condiviso la posizione di lasciare libertà di voto. Io ero favorevole all'arresto" ha detto a qualche cronista mentre si allontanava da Montecitorio. Il dominus Umberto, da canto suo, non è abituato a tollerare forme di insubordinazione nel suo partito: la linea la detta lui, gli altri si adeguino. E a chi gli faceva notare la delusione dell'ex Ministro degli interni il senatur ha risposto: "Maroni è scontento? Non piangeremo. La Lega non è mai stata forcaiola".
La decisione di lasciare libertà di coscienza è arrivata dopo una riunione pre-voto nella quale sono volate parole grosse tra i leghisti che erano per l'arresto di Cosentino e quelli contrari. Tra i deputati Luca Paoloini, a favore del no, e Gianpaolo Dozzo sono anche volati colpi proibiti. E Bossi, che all'inizio sembrava propendere per il sì, ha dato libertà ai suoi, salvando di fatto Nicola Cosentino. Già, perché lasciare libertà di voto significava questo. Ma perché il leader del Carroccio ha deciso così? Qualcuno dice in nome della vecchia alleanza con Silvio Berlusconi. Forse, ma non convince, e non solo perché Bossi ha rivelato di non aver sentito Berlusconi prima della votazione.
Il motivo che ha spinto Bossi a salvare Cosentino potrebbe essere un altro: la sopravvivenza del governo Monti. Già, perché qualora il Casalese fosse stato assicurato alla giustizia, è chiaro che le ripercussioni sul governo ci sarebbero state e come. Ad annunciarle era stato proprio Berlusconi. Ma alla Lega mettere in difficoltà il governo non conveniva e non conviene: in questo periodo il Carroccio è impegnato a riconquistare la fiducia del proprio elettorato e un po' di sana opposizione, anche colorita come abbiamo visto nel caso della manovra finanziaria, non può che far bene alla popolarità. La scelta di Bossi, insomma, potrebbe anche essere letta sotto questo punto di vista. Ma Maroni non c'è stato.
L'impressione è che qualcosa in casa Lega sia rotto davvero. Maroni, che molti vedono come il naturale successore di Bossi alla guida del Carroccio, pare aver fretta di dettare la sua linea: una linea che vorrebbe mandare a ramengo l'alleanza, comunque compromessa, col Pdl e rispolverare quel famoso "radicamento sul territorio" che ha fatto la fortuna del partito padano. L'ex Ministro degli Interni sta facendo sempre più proseliti all'interno del partito e anche esponenti di una certa caratura, come il sindaco di Verona Flavio Tosi, sono dalla sua parte.
Per ora, però, la leadership di Bossi non è assolutamente in discussione, e non perché lo dica lo stesso Maroni. La Lega Nord è un movimento politico che si identifica, storicamente, culturalmente e a livello simbolico con il suo leader fondatore. Bossi è il capo e, appena si accorge del minimo dissenso, corre a ribadirlo. E che la popolarità di Maroni gli dia fastidio sembra ormai assodato. Per capire come evolveranno le cose bisognerà aspettare il prossimo 22 gennaio, giorno in cui è prevista un manifestazione contro il "governo ladro" in Piazza Duomo a Milano: lì si capirà se tra bossiani e maroniani la guerra sia davvero cominciata.