Mentre la Banca d’Italia invita il governo che verrà a redistribuire e ridurre il carico fiscale e a combattere realmente un’evasione che, a braccetto col fisco, grava come un macigno sulla ripresa dell’economia italiana, Piazza Affari inserisce ancora una volta il turbo e chiude in rialzo di quasi il 3%, mentre il rendimento sul Btp decennale guida cala al 3,94% (11 punti base di ribasso) e lo spread contro Bund al 2,68% (14 punti base in meno di ieri). Cos’è successo? Certamente la sensazione che rieletto Giorgio Napolitano si vada verso un nuovo esecutivo dopo il fulmineo giro di consultazioni che oggi lo stesso Napolitano ha avuto coi leader di tutti i gruppi parlamentari ha consentito un ulteriore esuberanza razionale, così come i segnali positivi giunti dai principali listini europei e da Wall Street.
Ma proprio dall’Europa è giunta la spinta decisiva per questo ulteriore rimbalzo, perché nel corso della giornata dopo dati macroeconomici ancora una volta deludenti, con un indice composito Pmi dei direttori acquisti per l’Eurozona rimasto stabile in aprile a 46,5 punti (quando l’indice è sotto quota 50 segnala una fase recessiva, ndr) che si confronta con un calo per l’omonimo indice riferito alla sola Germania (l’indice Pmi composito è calato a 48,8 punti, il minimo degli ultimi sei mesi, dai 50,6 punti di marzo, il sottoindice relativo al settore dei servizi cala a 49,2 punti dai 50,9 di marzo, a sua volta sul minimo degli ultimi sei mesi, mentre quello manifatturiero è a quota 47,9 da 50,0, peggior dato degli ultimi 4 mesi) che testimonia come la crisi abbia ormai raggiunto il cuore economico dell’Eurozona, è tornata a crescere l’attesa per una prossima risposta della Banca centrale europea. Dati deludenti, ragionano gli investitori, dovrebbero offrire a Mario Draghi la possibilità di “chiamare” una ulteriore limatura dei tassi ufficiali, col tasso di rifinanziamento principale che potrebbe calare dallo 0,75% allo 0,50% già dal 2 maggio prossimo.
Ma quanto potrà incidere, nel concreto, un simile taglio? Secondo molti poco o nulla in termini di crescita, ma di certo offrirà sollievo a banche ed emittenti sovrani. Se lo 0,25% dovesse trasmettersi proporzionalmente lungo tutta la curva dei tassi, avendo il Tesoro italiano, ad esempio, al 31 marzo scorso un totale di 1685,18 miliardi di euro di titoli di debito, di cui il 66,12% (1114,27 miliardi) rappresentati da Btp, e il 9,3% (156,8 miliardi) da Bot, con una vita media del debito pari a 6,47 anni (in lieve calo rispetto ai 7,1 anni di fine gennaio) ed un tasso medio (prendendo come valore rappresentativo il Rendistato elaborato dalla Banca d’Italia) del 3,678% (era pari al 3,312% a fine gennaio), l’eventuale taglio di Draghi consentirebbe in realtà ai nostri titoli di tornare sui livelli visti a inizio anno, con un minor onere per i conti pubblici attorno ai 4-4,25 miliardi di euro. Più o meno quanto l’incasso dell’Imu sulla prima casa, per usare un paragone parecchio in voga di questi tempi.
Grazie al meccanismo della duration (sostanzialmente un moltiplicatore pari alla vita residua dei titoli in portafoglio, che esprime di quanto varia il prezzo dei titoli al variare dei tassi) a beneficiare maggiormente della riduzione saranno le banche italiane, i cui forzieri sono zeppi di titoli di stato italiani (con alcune come il Monte dei Paschi di Siena con una durata particolarmente elevata e peraltro, a causa di errate coperture tramite derivati, sostanzialmente insensibile alle ulteriori riduzioni dei tassi). Difatti, razionalmente, i migliori risultati sono stati espressi in giornata da titoli come Bper, Mediobanca, UniCredit, Intesa Sanpaolo e Ubi Banca (finiti tutti con rialzi tra i 3 e i 5 punti percentuali abbondanti). Per la ripresa ci vorrà ben altro però. Cosa? Ad esempio il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione (ai 40 miliardi di euro da restituire in due tranche quest’anno e il prossimo secondo Banca d’Italia andrà aggiunta una ulteriore tranche da 20 miliardi, a fronte di 90 miliardi complessivi di debiti di cui una settantina “anomali” rispetto ai tempi di pagamento vigenti negli altri paesi), che sebbene in parte finirà col finire nelle casse delle banche creditrici delle aziende private nei cui confronti la pubblica amministrazione è debitrice (sempre Banca d’Italia stima che almeno 11 miliardi di euro siano già stati ceduti “pro soluto”), potrebbe comportare un effetto positivo in termini di Pil tra lo 0,5% e lo 0,7%.
E poi? E poi molto dipenderà dalla fiducia che avranno imprese e famiglie nella ripresa dell’economia, dalla capacità del nuovo governo di completare e correggere le riforme avviate dal governo Monti, nella possibilità che le autorità europee (ossia tedesche in primis) ammorbidiscano una repressione fiscale che così com’è stata finora pensata e attuata ha fatto più male che bene all’economia del vecchio continente (non solo ai “reprobi” della sponda Sud ma alla stessa Germania, come detto). Siamo a fine aprile, in attesa delle prime misure che deciderà il nuovo governo (c’è chi parla già di una “classica” manovrina estiva da 8-10 miliardi tutta di tagli e di un rinvio dell’aumento dell’Iva dal luglio prossimo al gennaio 2014) e dei contraccolpi che queste produrranno sull’economia, e mentre sempre più comparti (dalla telefonia all’editoria, dall’industria al commercio) stanno tagliando i salari e allungando i tempi di pagamento, con l’applicazione di contratti di solidarietà, cassa integrazione e ammortizzatori sociali vari ove possibile (o con bracci di ferro sempre più duri dove non è possibile), il reddito disponibile probabilmente continuerà a calare ancora fino a fine anno e con esso l’economia, taglio o non taglio dei tassi.
Dal 2014 potrebbe esserci qualche migliore prospettiva: parlando oggi con un imprenditore mi confidava “l’importante sarà arrivare sino al quarto trimestre, dopo chi sarà sopravvissuto potrebbe tornare a respirare” e più in là chissà, forse tornerà ad esserci spazio per qualche eccellenza del made in Italy capace magari di scaldare il cuore di consumatori e investitori stranieri. Sembra un bollettino di guerra, invece è il racconto di una giornata lieta per i mercati finanziari ma ancora molto incerta per l’economia reale. Quando si dice movimenti asincroni.